36 MEMORIE DI CAMPEGGIO
"La tragedia delle belle è che temono i semplici amanti"
- Dalle nebbie del sonno e della solitudine emerse Lei; Irène, come dopo seppi si chiamava, seduta sulle valige con un grande cappello di paglia, ridente e ottimista anche dopo la nottata in pullman. In coro i maschi le decretammo l'epiteto di "bona"; io l'amai subito. Ricordo che, nell'indeterminatezza del primo là metter piede, eravamo tutti ramenghi pel piazzale-reception ghiainoso, e che io, da lei eccitato, facendo a rincorrermi con altri pueri, caddi e mi feci uno sbrego nei pantaloni rossi che amavo tanto, e che due gocce di sangue ne macchiarono il tessuto di un colore più intenso. Solo per questo non li ho mai buttati: quelle macchioline non sono mai venute via.
- C'era del ritardo nel montaggio delle tende (lavoro che spettava ai grandi); noi fummo sistemati in fetide roulottes. Coi primi soldi che avevo cambiato, avevamo insistito tanto perché ce li dessero subito, avevo comprato delle Marlboro. Ero in roulotte con due che già conoscevo: Walter, un omone, ed Anastasia, una stangona che ora fa la modella, e questi due stavano insieme. Io fumavo molte sigarette, quasi una dopo l'altra fino alla nausea, sapendo bene che fumavo solo per sentirmi più grande e fico; ma la ritenevo motivazione valida, e utile per, eventualmente, imbroccare o chessoio. Ogni tanto mi toccava uscire dalla roulotte per esplicita richiesta degli altri due, e girellavo senza meta precisa. Così, credo, ma non ricordo se conobbi lui per primo, ebbi occasione di parlare con Guido, il quale mi disse che stava con Irène.
- Mi ritrovai nella roulotte di Irène con Guido e due tizi, Julien e Rinaud per tutti: "Renault". Anche lei c'era, s'intende. Seppi che lei aveva già fatto una classe di un istituto tecnico io ero appena uscito dalle medie anche se era del mio stesso anno, ancorché di Gennaio. Mi sentii pivellissimo. Io non sapevo che Julien e Rinaud erano i fratelli minori di Irène, perciò dapprima li invidiai quando seppi che dormivano con lei. Anche Guido affermava che aveva dormito con lei (questo era il secondo giorno), anzi, tutti e quattro nello stesso letto, ma non ci credetti molto. Guido era un tipo qualunque. Non avrei potuto concepirlo come amante di una tale bellezza. Anche come amico mica tanto.
- Eravamo davanti alla nostra roulotte, io Walter e
Anastasia. Lui si faceva fotografare da lei. Lei a un
certo punto lo incitò a farsi fotografare il didietro, e
lui senza tanti patemi visibili si girò e si calò i
calzoni; lei scattò. Io fui stordito di tanto osare.
- Contiguo al campeggio c'era un campo nudisti. Tutti noi,
per fare i grandi, disdegnavamo andarci ma poi finivamo
sempre vicino alla rete di divisione, a sgomitarci alla
vista di quarantenni nudi col segno del costume che
giocavano a tennis con la massima dignità. La vista del
noto Delta era ancora straordinaria.
- Fummo sistemati in tenda, ma la situazione non cambiò
affatto, se non che avevamo un piazzale di vita in
comune. Una sera facemmo il gioco della bottiglia. Irène
prometteva morsi sul labbro inferiore. Me ne toccò uno;
mi fece un male bestia, ma godei tanto. (Mordeva
l'interno del labbro).
- C'era (credo e credevo) un discreto feeling tra me e
Irène. La stessa sera del gioco della bottiglia la
invitai ad una passeggiata sotto le stelle, lungo la
spiaggia. Ci sedemmo, si parlò. A un certo punto le
saltai al collo e presi a darle bacini sulla bocca. Ero
appassionato, sì, ma goffo, e non conoscevo il bacio con
la lingua, o "alla francese". Lei comunque era
svizzera. Protestò che la smettessi, si divincolò e
tornò alle tende, lasciandomi carponi a prendermela con
me stesso.
- Una mattina, ero in tenda con Walter. Lui si stupì che non avessi mai pomiciato, e io gli confessai che non sapevo come si faceva. Mi disse che era una cosa naturalissima, a un certo punto si tira fuori la lingua e il gioco è fatto. Poi ci chiedemmo che cosa avevamo già fatto: io potei vantare solo il bacio sulla bocca, aggiungendo ex inventione, pressato, la masturbazione ricevuta, lui anche tutte le toccatine e toccatone possibili; ma genitoralità e Quello no, per fortuna. Mi sentii di nuovo strapivello.
- Guido venne a farmi un discorsetto. Non mi ricordo cosa
ci dicemmo, ma benissimo la conclusione: in soldoni,
caro, mio, se colei che entrambi amiamo ricambia solo
uno, sono affari di quell'altro. Nessun dei due fu
soddisfatto del commento di lei: "Ma io voglio bene
a tutti e due". D'allora in poi ci odiammo
cordialmente.
- Io magari ero un po' ritardato e timido, ma anche Walter
doveva avere dei problemi con lo sviluppo precoce, dato
che faceva sempre lo stupido. Un giorno per facezia si
mise il bikini di Anastasia, e risaltò il suo ***; esso
era già virile di dimensioni. Mi vergognai del mio, di
poca utilità se non per mingere.
- Avevo i capelli lunghi lunghi con la divisa da una parte, da bùro. Irène, tanto esperta in queste stupidaggini, sapeva come si faceva un certo tipo di treccia che andava allora tra i ragazzini, che partiva dalla fronte e coinvolgeva il pelame tutto; quello della testa, si capisce. Dovendo insegnarlo ad Anastasia non si peritò di prender me come cavia; protestai, ma insistette. Cedetti, ma mi faceva male; ai miei lamenti rispose che per esser belli bisognava soffrire. Argomentai che soffrivo io ma non era per me la lezione di bellezza. Alla fine mi sottomisi, inaugurando, a memoria mia, la mia lunga tradizione di schiavitù all'amata. E quella della lagna.
- I miei lunghi capelli e il mio faccino fecero sì che,
durante un giro pel campeggio di me ed Anastasia, dei
locali giovanotti ci fischiassero dietro; ad entrambi,
pensai allora non senza piacere, secondo il mio di allora
sillogismo che, se fossi stato considerato bello come
donna, allora sarei stato bellissimo come uomo (e quale
miglior prova della mia eterosessualità?); solo a lei,
penso ora che ho più testa, ignorando me come pusillo.
- Una sera stavamo a fare gli scemi in uno spiazzo con
juke-box adibito alla socialità intergiovanile; si
potrebbe dire ad esserlo, ad espletare cioè la nostra
immaturità. In una nicchia vidi Julien che tubava con
una certa Carla, una ragazza brutta, col viso da maschio
ma già formata; direi già sfatta, anche se forse ora mi
parrebbe un fiorellino. Mi stupii e m'innervosii.
- Sempre lì davanti al juke-box Irène mi prendeva in giro
perché fumavo, e me ne criticava aspramente. Io allora
feci il ganzo e dissi che io le sigarette non le fumavo
per vizio, e che l'appena estratta l'avrei, invece,
mangiata. Così feci, e lei ne fu ilare. Poi la sputai,
mi sembra ovvio.
- Ancora davanti al juke-box eravamo a ciaccola. Dal nulla
della significatività emerse uno che si mise a contare
una novelletta gestuale: doveva essa rappresentare Iddio
nell'atto di creare `sti benedetti anumbilicali, Adamo
& Eva. Egli adunque, cioè il Signore, rappresentato
tuttavia dall'uno prefato, che si distingue dall'Uno,
sacrificando il domma all'aprosdoketon inizia dalla
femmina, e tutta la modella ivi comprese le parti pudende
(risolini). Poi passa alla poiesi del pollastro. Per
significare il facimento del sacchetto seminale destro
egli dà mostra di arrotolare una pallina di creta, idem
pel sinistro. Poi deve fare il salame, e disegna anche
questa operazione con le mani; trattasi ultimamente di
applicarlo al suo posto. Tenta una volta, come per
infilarlo in un apposito incastro; due, poi tre; al che
chiude improvvisamente l'occhio sinistro e se lo pulisce
con la mano. Irène rise di gusto, io non molto. Julien
appena.
- Oh scoglio! Stavo lì seduto con Julien. Parlammo di me e
Irène: io, geloso di Guido, glie ne chiedevo nuove; ma
surtutto gli chiedevo di lui e Carla: lui non era molto
certo di quella sua relazione, e parlandogli, e
osservandone l'efebico sembiante e gli occhi di un divino
azzurro profondo, presi a supporre che in Carla lo
attirasse la mascolinità: magari lo confessò lui
stesso, non sono sicuro. La conversazione si concluse tra
reciproche patetiche dichiarazioni di simpatia, amicizia
e stima; più oltre non si poteva andare. Lo dissi poi a
qualcuno, con sereno orgoglio ma chissà a chi,
forse a Giuseppe: mi ero innamorato di Julien.
- Giuseppe era uno degli accompagnatori. Ganzino, aspirante
stilista di moda, lo incontro tuttora spesso nei luoghi
trendy. Allora mi era difficile poterlo classificare gay
tout court. Il torbido della relazione tra lui e un certo
Simone, hinterlandese mio coetaneo ma dall'aria sofferta
e vissuta, mi apparve alla mente dopo anni; per me, che
Simone talvolta dormisse nella tenda di Giuseppe era
sintomo di un'amicizia molto salda tra il giovane e il
"vecchio", cosa molto bella e nobile ai miei
occhi di allora. E ritenevo il soffocato scandalo che ne
derivò una brutta calunnia da invidia: anche oggi non
sono certo del contrario.
- Dovevamo partire per una gita in barca, e attendevamo al
moletto. Irène era seduta, io in piedi accanto a lei. Mi
cascò l'occhio, come a me ma penso anche ad altri
succede spessissimo, attraverso la scollatura molto
ariosa, sul suo petto; dalla piattura emergevano come
spuntoni due micropoppe o maxicapezzoli che dir si
voglia, strette ma ben allungate in avanti: mi parvero
strane. Lei se ne accorse e mi guardò offesa. Ma che
c'era da offendersi, avevo visto per caso, pensai: ed era
più o meno la verità.
- Durante quella gita approdammo ad un'isoletta scogliuta,
patria di un nudismo "free". Nonostante le
riprensioni degli accompagnatori noi spesso si guardava.
Nella turba di corpi mi emerge al rimembrare l'immagine
di una degnissima famigliola con figlia nostra coetanea,
che noi rimiravamo facente il bagno. Ero l'unico a
preferire lei a giovani più formate. Il mio massimo
stupore derivò dal pensiero che lei, alla sua età,
fosse disinibita quanto pareami solo a grandi o bimbi
competere.
- Nella passeggiata per quest'isola giugnemmo ad una
scogliera con picchi ad altezza adatta al tuffo;
chiaramente, pur essendoci fondale basso, taluni spavaldi
volevano usufruirne sfidando gli inviti alla prudenza da
parte degli accompagnatori; io stavo coi secondi, Julien
coi primi. Nel bel mezzo della diatriba prese e si
tuffò; io mi sentii male, ebbi paura per lui, ma lui
tornò a riva del tutto incolume, salvo un fregio di
graffi sul petto e un'aria di spaventata allegra
vittoria. Era bellissimo, bagnato, quasi nudo e
tagliuzzato: lo amai follemente.
- Al paese limitrofo al campeggio c'era, ovviamente, una
gelateria. L'autoctono che là trabagliava aveva
l'abitudine di lanciare alte per l'aere le palline per
riacchiapparle col cono. Trovavo intollerabile che
un'abilità così bassamente circense suscitasse
l'ammirazione di tutte le femminuccie; e, probabilmente,
desideravo tuttavia averla anch'io.
- C'era con noi un ciccione dai capelli a spazzola che
tutti, dimostrando inventiva degna delle piue grandi
menti del secolo, chiamavano "Spazzolina". Lo
si prendeva in giro. Ebbe la malaugurata idea, visto che
tanto lo avrebber disdegnato tutte, di
"innamorarsi" proprio di Irène. Lei lo seppe e
prese a coccolarlo, a fargli complimentucci, moine,
fors'anche ad additarcelo come segno di condotta umile e
modesta. Di tutto ciò la sua facciona ebete sorrideva
beata; e la creatura fiaschiforme ebbe straordinariamente
la capacità di farmi ingelosire.
- Fu tutto molto rapido: eravamo io, Walter, Anastasia ed
Irène nella nostra tenda. I fidanzati tra loro, io
facevo le coccole alla svizzerina. A un certo momento la
cinsi tra le braccia e le detti il primo bacio con la
lingua della mia vita. Una cosa molto semplice e
naturale, come Walter mi aveva predetto, e mi piacque
tantissimo; ma surtout era un notevole passo avanti del
mio status virile. Walter, qualche ora più tardi, mi
prese da parte e congratulandosi mi disse
"Visto?".
- Sull'onda di assidue letture di un settimanale di musica
pop affermavo per tutto il nostro attendamento, dandomi
aria saputa, che un certo gruppo progressive che
amavo molto si era ormai definitivamente
"commercializzato". Ma quando
un'accompagnatrice me ne fece ascoltare un pezzo
dall'ultimo album alla radio mi piacque assai assai. Ciò
iniziò grandi rivolgimenti nella mia concezione di
"buona musica" e, per estensione, di bene e
male.
- Visto l'andazzo libertario della distribuzione nelle
tende, pensai a questo punto desiderabile e fattibile che
Irène dormisse con me, Walter e Anastasia. Sondai il
terreno: gli ultimi due erano d'accordo, sì che io mi
emancipassi. La risposta di Irène non fu né no né un
sì pieno di sottintesi, ma un "Beh, sì, perché
no?" che significava boh, se fa piacere a te, visto
che siamo amici... Ma che diamine, poffarbacco! Io
l'amavo, la desideravo, meglio, la volevo per me!
Comunque tutto fu risolto perché gli accompagnatori ci
negarono il permesso di trasferimento che avevo fatto la
stupidaggine di chiedere invece di operare una fuga
romantica.
- Ce ne stavamo là nella zona "comune", quella
per socializzare. Irène si era comprata un leccalecca e
lo spartiva con Julien. Io chiesi se potevo dare una
leccatina: al leccalecca, chiaramente; lei mel concesse
volentieri, ed io con voluttà succhiai di tra i glucosi
le salive. Ma, una volta resole il veicolo di tal
piacere, lei lo passò dietro richiesta anche allo
stupido insignificante Guido, mandandomi i nettari di
traverso.
- dedicato a C. E.
Passeggiavo (tranquillo e beato e innocente) pel prefato
praticello prospiciente la piaggia e, pertanto, il
pèlago. Dé miei concampisti stavano discorrendo con
delle brutte indigene sui diciassette, a gesti data la
grave diversità linguistica. Io mi avvicinai
incuriosito. Dopo pochi minuti d'incomprensione reciproca
una, mediamente ragana, esplicataci la topografia del
campeggio in funzione della posizione della sua roulotte,
si volse a me e mi indicò, poi indicò sé e fece il
gesto cubicolosemico delle due mani a palme unite su cui
la testa reclina, accompagnando il tutto con un'occhiata
intenzionalmente invitante. Ho solo scordato se la mia
fuga fu metaforica o reale.
- Seccatissimi per le continue ambiguità di Irène,
nojaltri due maggiori pretendenti, Guido ed io, ci
mettemmo d'accordo per ripudiarla allunisono. Però
riuscii a convincerlo ad andare prima lui. Andò e le
disse stronza ti lascio, al che lei fu dispiaciuta. Poi
andai io e le dissi ma perché ci prendi in giro, ma chi
ti credi di essere, stronza ti lascio. Lei allora si mise
a piangere e disse ma perché che vi ho fatto, oh povera
me non ho più amici. Io allora tornai indietro e ripresi
ad adorarla come un cagnolino affermando le mie parole
dettate da gelosia e non pensate. Con questo innocente
tradimento mi sbarazzai una volta per tutte del mio
rivale.
- Un tale mi suggerì la seguente strategia una volta che
mi fossi trovato eventualmente da solo in tenda con
Irène. "Se vuoi andare sul leggero, dì che hai
freddo e stringiti a lei. Se invece vuoi da subito
metterla sul pesante, dì che hai caldo e comincia a
spogliarti." Già allora, e meno male perché taluni
ci credono anche, ero perfettamente conscio che un simile
consiglio era più suggestivo che applicabile.
- Ci portarono in una discoteca. Si ballicchiava. Presi
tutto il mio coraggio e chiesi a Irène se voleva
mettersi con me. Abituato a risposte tipo bonaùgo, la
concepivo come mossa disperata. Lei rispose che mah, e
che comunque di che sapeva mettersi insieme quando entro
pochi giorni si sarebbe tornati a casa? Dolorosamente
accettai la risposta con tutti i presupposti logici suoi,
ossia che il nostro, a bene andare, era un amorazzo
casual per lei, uno sfizio vacanziero, o, come penso ora,
un non sottrarsi. Io, un po' seccato, tornai a
ballonzolare. Di lì la vidi che si agitava troppo e,
apriti cielo!, con una sigaretta in bocca. Andai a dirle:
si fuma anche noi eh? Lei non diede mostra di
vergognarsene, ed anzi sventagliava il fumo a giro con
spavaldaggine. Mi bruciava la soddisfazione evidente di
tutti gl'altri maschietti invidiosi i quali,
privilegiando la categoria "ci sta o meno",
avevano ritenuto stupido il mio amore per la svizzera. A
una cert'ora fummo rimenati via.
- Uno degli ultimi giorni della nostra permanenza là
passeggiavamo io Irène Julien ed altri per la stradina
lungomare che dal campeggio portava al paese. Non so se
le rinnovai la richiesta della discoteca o ci tornò
semplicemente il discorso, comunque lei ribadì il
diniego. Io allora feci presente che nella mia cittade
una bellissima fanciulla era destinata ad esser mia, e
che pertanto questa ritrosia di Irène non mi faceva un
baffo. Con mio profondo disappunto lei mi fece le
congratulazioni, e si dichiarò contenta per me con un
risolino.
- Eravamo già ormai mezzo sbaraccati, e la andava a pochi.
L'unica ragazza che avessi mai baciato a fondo era lì di
fronte alla sua tenda che rinzainava, ed io le ronzavo
attorno: le chiedevo insistentemente di rifarlo, per
favore, rifarlo; nicchiò un po', infine acconsentì di
malavoglia, giusto per farmi piacere; ma io ne ricavai
gran sollazzo, essendo che allora la lingua mi premeva
più del cuore.
- Nelle lunghe ore di pullman mentre che si tornava riuscii
tampinando ad ottenere ancora baci glossari da Irène.
- Sfuggendomi, in pullman, lei si dava all'organizzazione
di attività socializzanti, sostituendosi in parte alle
stracche animatrici. Tra esse ella si beava di dare la
stura a canti corali, tra cui a loro volta con mio
raccapriccio spiccavano canzoncine parrocchiali come
"Se tu vai in cielo". Sgomento cercai Julien;
anche lui si sgolava, e me ne prese tristizia grande;
contemporaneamente però egli splendette ancor più della
sua beltade ora angelica.
- Mi cascavano le braccia dalla stanchezza, ed era un
problema far pipì.
- Giunti a casa finalmente, morti di fatica, recuperavamo
le nostra ed aspettavamo il parentado scambiandoci
indirizzi. Al partirci once forever io e Julien ci
baciammo sulle guance, atto audacissimo nel frangente, e
la luce negli occhi dell'uno si riflesse nel luccichìo
degli altri (immagine dantesca). Un mesto sorriso e non
lo vidi mai più.