Donne Nude!

Neanche le uccelle più fesse lanciano i figli giù dal nido prima che siano loro cresciute le ali.

Un po' anche perché si scandalizzava ogni volta che nei racconti dei compagni di banco veniva fatta menzione dei genitali; un po' anche perché era diventato pudicissimo, al punto di chiudersi in bagno per lavarsi le mani; un po' anche perché, ogni volta che vedeva un busto scoperto di donna sulla copertina di una rivista qualsivoglia, sudicchiava; un po' anche perché aveva smesso di fare ginnastica a scuola, soprattutto rifiutandosi di cambiarsi; un po' anche perché da qualche mese trovavano ogni tanto "Histoire d'O" fuori posto; un po' anche perché il suo letto, e soprattutto il cuscino (da una sola parte), era spesso macchiato; un po' anche perché era diventato irritabile; un po' anche perché non vedeva più la sua amica preferita delle elementari; un po' anche perché non solo non si lasciava fare il solletico, ma aveva reazioni isteriche, e teneva il muso; ma soprattutto per non vergognarsene, i Gramigna padre e madre avevano deciso che sarebbero andati a fare una vacanza su un'isoletta frequentata esclusivamente da bagnanti nudisti, loro due, la figlioletta e il primogenito tredicenne sfinito dalle seghe, Agostino.

Il traghettino beccheggiava, c'era una bella brezza che tutti si godevano svaccati variamente sul ponte. Tutti? Ma no, Agostino se ne stava solo nel torrido foyer, seduto su un divanetto di sky davanti alla tivù che muta diffondeva immagini di un documentario sull'acceleratore di particelle di Ginevra, con tanto di faccione di scienziato a dipanare misteri della fisica. Aveva (Agostino, non lo scienziato) una lattina di aranciata in mano, calzoncini e maglietta. Tutto si sarebbe svolto nel migliore dei modi se non fosse giunta sua madre ad esortarlo.

—Agostino, perché te ne stai qui al chiuso, con quest'aria cattiva? Siamo tutti fuori, vieni anche tu, si sta bene, c'è vento...— eccetera. Tra l'altro era vero che si stava meglio, fuori. —C'è qualche motivo per cui non vuoi venire?—

Agostino aveva un gran bisogno di aria e di sole, un desiderio fisico.

—M'interessa questo documentario.—

—Ma di documentari ne puoi vedere quanti ne vuoi, quando siamo a Roma; ora siamo in vacanza, siamo venuti qui per stare bene... tra l'altro, mi sembra che questo tu l'abbia già visto.—

—No.— mentì Agostino —Questa è la seconda parte.— E continuava a guardare lo schermo silenzioso. La madre prese per buona la fregnaccia e se ne andò senza infierire.

Ma papà, che era mandante, stavolta giunse lui, con altri metodi.

—Smettila di fare storie da bambino piccolo: vieni all'aria come tutti.—

—Ma, papà...—

—Forza!— confermò costui con un'occhiataccia e un fremer di mustacchi.

Agostino si tirò su di mala voglia e a testa bassa precedette fuori il padre, sedendosi immantinente all'ombra.

—Vieni al sole!—

—Ma mi spello...—

—Dài, smettila, vieni!—, e Agostino strascicò i piedi fino alla panchina in plastica dove la madre già spalmava di Nivea Martina, la sorellina collaborazionista. Appena seduto emise un grugno sì corrucciato che il padre non si peritò di intimargli di "non mettere su una faccia da funerale ogni volta che ti si dice qualcosa". La faccia di Agostino si distese in una scocciatura meno marcata ma decisamente più sentita.

Naviga naviga il traghettino arrivò a sera calata alla parte dell'isoletta che ospitava la colonia naturista. Non c'era nessuno a giro a quell'ora, salvo rari isolani, e i quattro Gramigna poterono prendere possesso della casina che avevano affittato. L'isola non aveva né luce elettrica né acqua corrente, il che disturbava molto Agostino, insensibile sia alla nobilitazione interiore che i parentes ne derivavano sia all'interesse ludico che per detta situazione provava la mocciosetta. I genitori, stanchi anche loro del viaggio, cominciavano ad essere seriamente scocciati del figlio, e quando lui piagnucolò che con il lume a petrolio gli facevano male gli occhi ricevette una reazione decisamente eccessiva. E doveva anche essere felice e contento, sennò rovinava la vacanza a papà e mamma che ci tenevano tanto, aggiunse la genitrice, con l'effetto di mandare a letto Agostino con un bel senso di colpa, senza contare il fremere per l'aspettativa di vedere, il giorno dopo alla spiaggetta, tanta gente, e soprattutto donne, DONNE NUDE!

Da due mesi, da quando cioè i genitori avevano proposto (come se alcuno avesse potuto osare opporsi) la meta della loro vacanza, Agostino viveva nell'orgasmo e nella fifa: vedere davvero donne nude, a bizzeffe, a 360 gradi d'orizzonte, alte basse bionde brune e tutte come quelle che aveva visto di straforo su un Playboy; ma al contempo, oh!, che lo vedessero nudo, lui sgraziato brufoloso, dalla virilità scarsa e imprevedibile, con gli occhiali e il fisico a fiasco. Soprattutto gli guastava il piacere la presenza della famiglia,nel cui ambito la sessualità sua andava repressa ad ogni costo, secondo lui. Il sadismo per cui era fatto Tantalo,sempre secondo lui, era la vendetta parentale, dovuta al fatto ch'egli, disdegnando le amorevoli cure, da bimbo innocente era diventato un disgustoso pervertito; questo ancora secondo lui. Tanto più che non poté, non stanotte!, evitare di masturbarsi, anche se era in camera con la sorellina; sperò solo che dormisse profondamente...

La mattina comunque iniziò benone. Si alzò dal letto che c'era un bel sole, l'aria era fresca e pulita, costringeva al sorriso e al gioioso stiracchiarsi. Fregandosi gli occhi lippi e appena pesti si affacciò alla finestra e vide un culo sballonzolante. Panico. Figuriamoci se esco. La madre, quando entrò, lo trovò tutto gelatinoso a sedere sul letto, con addosso le mutande. Ma, cosa ancora più tremenda, entrò nuda. Agostino provò orrore. La pelle bianchiccia, il bacino grosso, le forme cascanti e per nulla patinate della genitrice rendevano vieppiù mostruoso il pelame, da cui lui, tuttavia, non poteva distogliere lo sguardo. Come si addice ad un personaggio da horror classico, con la voce più tranquilla del mondo ella cinguettò:

—Andiamo in spiaggia?—

Sarebbe potuto svenire, altro che.

Dietro mamma comparve la sorellina, angelica, senza turgori, ancora non tatta dai turbamenti di Agostino. Era un po' rossa, certo, ma più dal ridere e dal sole preso in nave. Martina si ricordava di come era stato buffo lo zio Piero che si era dimenticato di chiudere a chiave il bagno e quando lei era entrata si era messo a fare oh oh e a coprirsi proprio "lì" (hi, hi), e che aveva brontolato per una settimana come fosse stata colpa sua che non aveva bussato; e anche di quando i maschi a scuola sua facevano gli scemi e si tiravano giù le mutande quando la supplente si girava per scrivere alla lavagna. Per lei il corpo era, pur nell'ossequio di talune convenzioni sociali, tutt'uno; per Agostino l'inguine era oggetto di sacrale follia, mistero divino.

—Vengo dopo con papà.— fu la prima cosa che riuscì a dire per levarsele di davanti agli occhi.

—Papà è già andato da mezz'ora.—

—Ah...— tremolò la voce di Agostino, conscio di doversi alzare ma senza energia sufficiente per staccarsi dalla sponda del letto.

—Dài, su, vieni!—

Tremante tutto, rrrosso da capo a piedi, Agostino si fece forza e si alzò, restando però sempre di tre quarti. Non riusciva a porsi perpendicolarmente allo sguardo delle due donne. Provò un forte impulso alla crisi epilettica, alla fuga nella posizione fetale che avrebbe rincagnato l'oggetto della vergogna giù, giù tra le pieghe di grasso che le troppe merendine gli avevano elargito. Ma non poteva fare una figura simile.

—Dài, andiamo!— insisteva la genitrice, impietosa. Lui tremava. Finché la sorellina, candida candida come una caraffa di latte di vacca, non avanzò la seguente ipotesi:

—Mamma, ma Agostino se vergogna?—

Un certo disappunto per la pusillanimità del figlio si dipinse sul viso della madre. —Vai intanto te, cara.— disse confidenziale a Martina. Agostino si sentiva una merda, un povero handicappato cui persino la sorella novenne era superiore. Si ributtò a sedere sul letto, mentre la piccina sgambettava via, leggera in quella libertà che per lui era un camminare sul filo senza l'imbragatura necessaria a non precipitare. La madre gli si sedette accanto e lui, a testa china, ancora una volta dovette fissare lo sguardo sulla selva ch'ella aveva dove l'arto si diparte. Lei stavolta però se ne accorse. Pronunciò il suo nome, ma per lui era molto più facile stare così che alzare gli occhi e guardarla in faccia. Messogli il braccio gnudo e sudaticcio intorno alle spalle mamma si accorse che il tremito non cessava, anzi continuava più forte, quasi fosse lei a spaventarlo. Ciò la convinse ad assumere una posizione più conciliante.

—Va bene, Agostino. Allora facciamo così: io adesso vado giù con papà e Martina, e, quando "te la senti", vieni giù anche tu... tanto, tra poco farà caldo, e credo che non rinuncerai a un bel bagno nell'acqua pulita, eh?— aggiunse, tanto per mettere in chiaro chi era il più furbo. —Comunque, i panini oramai li ha presi papà, quindi per pranzare devi venire giù comunque. A... tra poco!— concluse alzandosi dal letto, e andandosene baldanzosa e tutta nuda alla spiaggia lì vicina; dalla quale, Agostino se ne rese conto solo allora, giungevano gaie voci di schiamazzo giovanile. Agostino si mise alla finestra, a guardare. Passò una coppia di giovani teutonici, lui alto e allampanato, lei grassottella. Salutarono Agostino con un ampio gesto del braccio e un sorrisone cordialone. Lui si ritirò svelto svelto dal vano della finestra, sperando che loro non si fossero accorti che li stava guardando, e prendessero la sua apparizione come frutto della loro fantasia. Si rimise a sedere sul letto domandandosi come facevano, loro, gli adulti; proprio: come facevano. Tornò a guardare dalla finestra.

Tre fanciulle un poco più virginali, avranno avuto sui diciannove diremmo noi, risalivano dalla spiaggia verso una casetta più su. Proprio davanti al patio dei Gramigna c'era un pozzo, e loro si misero ad attingervi, e a spruzzarsi l'un l'altra, giocando con il secchio, tirandosi in testa l'acqua per togliere il sale dai capelli, saltando qua e là da come era fredda. Agostino, non visto stavolta, si accucciò e tirò la tendina per lasciare solo un piccolo pertugio per gli occhi, proprio come faceva quando alla televisione si vedeva un petto nudo e lui si copriva gli occhiali con le mani lasciando però una fessura tra le dita Ma questo era a tre dimensioni. Visto che era solo, non si fece scrupolo di dare conseguenza fisiologica all'eccitazione sua mentale, e di frugare alquanto. Ad ogni apparire della venerea peluria di costoro una nuova scossa inturgidiva e il suo pippolo e il suo ansimare, ma il padre in baffi e occhiali e basta stava arrivando a ramanzinarlo e lui non se n'era accorto e quando lo sentì arrivare dalla porta non avrebbe più avuto il tempo di nascondere il montarozzo che deformava le sue mutande con l'elastico grosso e allora terrorizzato si gettò sul letto e si rannicchiò stavolta sì in posizione fetale ad implorare pietà pietà per i suoi orribili peccati.

—Sei ancora qui, Agostino?— disse il padre ignaro di tutto ma assai seccato che il figlio non si fosse fatto vedere e fosse ancora in mutande. Il sangue era sfollato dal "tessuto poroso" (così lo chiamava l'"Enciclopedia della vita sessuale" per ragazzi dai 10 ai 14 anni della quale il signor Gramigna si era pregiato di far dono al figlio qualche anno addietro senza sapere che lui avrebbe soltanto guardato le fotografie, da solo, la notte, nella sua stanza) per andare a concentrarsi sulla faccia di Agostino,con una tale intensità che i brufoli non si vedevano più. Nonostante ciò il povero preadolescente fece finta di essersi accidentalmente riaddormentato.

—Senti...— incominciò il padre, ma si spaventò della reazione inconsulta di Agostino: emetteva un suono tra il mugolìo e il ringhio, tremando. Allora non ebbe animo, ed abbandonò le buone vecchie sane maniere forti proponendo un ulteriore compromesso.

—Guarda che se vieni giù in spiaggia non sei mica obbligato a spogliarti nudo: puoi anche stare in costume, non c'è mica una regola che lo vieta. Tanto lo abbiamo portato un costume per tutti, nel caso ci fossero delle meduse... sai,— e abbozzò una risatina complice —se ti becca una medusa proprio lì... he, he.—

Agostino guardò su con un sorriso, sollevato dell'enorme macigno. Si alzò dal letto pieno di buoni propositi, e non si fece problemi neanche a cambiarsi di fronte a papà, che lo guardava orgoglioso delle proprie capacità diplomatiche. Uscirono insieme a passo spedito. Neanche notò, giunto sotto l'albero che fungeva da ombrellone naturista per i Gramigna e un altro paio di gruppi umani, l'occhiata d'intesa che si lanciarono i suoi genitori quando si incontrarono. Faceva caldo, era quasi ora di pranzo. Bastava guardare il mare per evitare di far caso alle donne nude che deambulavano; erano poche, d'altronde: data la gran calura quasi tutti se ne stavano all'ombra degli eucalipti. Volentieri, sotto le foglie, in penombra, non visto per l'abbacinante biancore della luce riflessa dai granuli di silicio, mangiò un panino, masticandolo in modo adeguato alla sua consistenza e non, come faceva di solito in pubblico, muovendo le mascelle nel modo meno goffo possibile. Infatti non fu affatto goffo, e deglutì correttamente.

Ma dopo pranzo, ossia dopo il panino e l'albicocca tiepida, Martina volle scappar via dal mq familiare per ricongiungersi a delle più o meno coetanee con le quali stava giocando prima di esser summònita al desco. Ciò pose per Agostino la questione "altri giovani" in tutta la sua drammaticità: si sarebbe dovuto avventurare solo, fuori, nella calura, sotto il riflettore giallo in cielo. Non era come sua sorella, lui: non avrebbe potuto prendere iniziative sotto l'occhio bonariamente vigile di mamma e papà, che invece proprio a questo tenevano, dato che avevano letto libri varii sull'adolescenza e le sue esigenze scritti da qualche bischero che era stato represso da giovane. Li vedeva benissimo, eppure sperò ardentemente che i suoi li ignorassero, i ragazzi che giocavano ad una vaga pallavolo insieme anche a delle giovani: belli, alti, asciutti, abbronzati, di famiglia radical-chic o comunque così perfettamente a loro agio da sembrarlo. Lui non era come loro, lui era un verme brutto e peccaminoso, aveva paura. I suoi, visto che "gli avrebbe fatto bene", lo spinsero fuori dal nido.

—Che fai, Agostino, resti qui?—

Non osando capire si rivolse loro interrogativamente.

—Non hai voglia di giocare a pallavolo?—

Non gli restavano molte chances di evitare una risposta.

—Agostino...— si preoccupò la madre.

Non osava lanciarsi senza paracadute...

—Bè? Rispondi, no?— lo sollecitò il padre.

Agostino desiderò intensamente di essere mongoloide, voleva pacchine sulla testa; per questo taceva, come scemo.

—Senti, ma che c'hai?... Aòh! Ma `nvedi questo!— sbottò papà buttando all'ortiche la laurea e la professione —Ma che, sei cretino? Ce vuoi rovinare la vacanza a tutti quanti? Ma che c'hai, me lo dici, eh? Guarda che me fai secca', eh!— Non la vide con gli occhi, ma col cuore, Agostino, la signora liberata col foulard di Yves Saint-Laurent ma rigorosamente ciocce al vento e gli orecchini da zingara che passava di lì e commentava tra sé "Lo vedi, questi vomani, vengono alla spiaggia e si fanno venive le cvisi pevché il lovo figlio si vevgogna di givave nudo... mah, chissà che educazione gli avvanno dato. Se fossimo a Capvi divei che sono nouveaux riches, ma qui, vevo, neanche quello... E se almeno non uvlassevo...", e pensava ha ragione, ha ragione, e disse:

—Papà, dài, almeno non urlare.—

—Aah, ma sentilo, eh! Sei tu, sai, che me fai fa' `ste figure, sei tu, che nun ce sai stare bbene cor tu' gorpo; ora, famme `r piagere...—

—Carlo, dài...— cercò di placarlo sua moglie, che pure lei cominciava a sentirsi gli occhi addosso.

—No, io nun me vergogno, capito? Se mme vergognavo, me ne stavo a casa mia!—

Mezza spiaggia oramai li osservava. Più che mai parevano ridicoli, quei tre, più che mai, anziché persone, davano l'impressione di tre corpi nudi e sgraziati che si agitavano e si arrabbiavano; più che mai i loro genitali, perlomeno, sarebbero dovuti stare nascosti, così come le loro anime irrequiete non avrebbero dovuto turbare la pace e l'armonia dei corpi che regnava sull'isoletta. Il loro posto era tra gli utenti di costumi ascellari, tra i nevrotici di Rimini e Riccione. Di questo si rendeva conto Agostino, anche se confusamente, insieme al più terribile fatto che ormai la sua posizione era talmente compromessa che almeno per oggi avrebbe fatto meglio a rinunciare agli sforzi per socializzare. Non era lo stare nudo il problema: stare in costume sarebbe stato ancora peggio, vista l'evidenza della ragione per cui lo teneva, resa nota al mondo dalla scenata di cui sopra. Papà Carlo, spalmatosi un po' di crema solare, se n'andò offeso dalla pusilla piccoloborghesità della moglie e del figlio a fare il bagno fieramente nudo, come se in ciò ci fosse stato da vantarsi.

Restati soli a sospirare, Agostino e mamma sedettero lungamente all'ombra, osservando la gente che entrava e usciva dall'acqua, e i bambini che si divertivano a rotolarsi nella sabbia finissima, perfetta per fare i castelli di sabbia, sotto gli occhi compiaciuti dei genitori. La pallavolo di cui prima si era trasformata in bagno collettivo con nuotata. La caletta dando a ovest, il sole avanzava verso i piedi di madre e figlio: Verso le cinque Agostino, potendosi non spostare dal cerchio magico del lebensraum familiare, acconsentì a stendersi al sole con mamma, senza togliersi il costume, e restando rigorosamente sulla pancia. Il viso rivolto verso l'esterno del mondo, non vedeva che obliqui sederi, e organi mammari, e genitali, e temeva che il suo potesse ingrossarglisi rendendogli in tal modo impossibile la partenza senza andare via carponi per far sì che non si vedesse che la sua mente malata eccetera eccetera. Temette tanto che lo fece succedere, e allora iniziò, pur rattrappito dalla nevrosi, alcuni movimenti del bacino che gli dessero se non altro una posizione comoda ché non dolorasse. Mamma capì, e gli parlò allora del più e del meno, così lui si scordò del turbine di conturbantia; al momento di alzarsi per andare a casa tremò poco.

Non temete: il Demonio e la debolezza di spirito non si erano ancora del tutto impadroniti di Agostino Gramigna e della sua famiglia. Soprattutto, più forte d'essi agiva l'abitudine. Non si poteva certo pretendere, disse mamma al papà quella sera tardi a letto, che tutto filasse liscio sin dal primo giorno, e vedrai che domani...

Infatti l'indomani Agostino riuscì ad alzarsi ed a camminare verso la spiaggia senza che la vertigine lo cogliesse. Fece uno sforzo di buona volontà e sedette composto e pacato al bivacco familiare. Sperava, poverino, di cavarsela così. Se anche il destino non fosse intervenuto a precipitare gli eventi e lui nell'Ade qualcuno ce l'avrebbe spinto. L'idea sua era che, una volta giunte le amiche di Martina, lui le avrebbe seguite e avrebbe chiesto, dolcissimo e sottomesso, di giocare con loro, dato che, come aveva notato, al loro gruppo s'accompagnavano anche taluni maschietti. Credeva di avercela fatta quando costoro, nonostante l'evidente scocciatura di Martina, accettarono.

Il gioco consisteva nel fare una pista per le biglie e poi usarla. Il modo canonico per farla, lo sapete, era che uno strascinasse un altro dimodoché il suo deretano facesse un solco nella sabbia. Siccome Agostino era il più grande dovette tirare lui, e questo lo pose in evidenza nel gruppetto.

—Oh, scusa,— gli fece un mocciosetto dal pisellino pusillo mentre lui tirava la più piccina in qua e in là badando bene a tenerle i piedi uniti per non vedere nulla e tuttavia lasciando cadere ogni tanto gli occhi verso di là, così, "distrattamente", non si sa mai dovesse apparire qualcosa per puro caso —ma te, perché tieni il costume?—

Eh sì, era una domanda naturale, tutto sommato.

—Eeee...— balbettò Agostino.

—Perché si vergogna!— urlettò la sorellina maladetta, che in quanto parente non aveva quel minimo di timore reverenziale nei confronti del pubere che dagli altri era vagamente sentito, nonostante lui lo dissipasse col suo tremolare.

—NO!!— strillò lui, isterico. Tutti ammutolirono. —È perché... sono più grande.— La questione fu abbandonata. Giocarono per un po' a biglie.

Ora la catastrofe.

E se voi che avete già la vostra età non avete mai desiderato così intensamente di essere inghiottiti da un'improvvisa sabbia mobile, cominciate a preoccuparvi da ora.

Attirati dalla gajezza dello giuocare alle bilie, giunsero anche due o tre quindicenni di quelli che il giorno avanti si divertivano con la palla a volo.

Agostino sudò freddo.

Loro chiesero di giocare anche loro.

Alla fine del giro. fu loro risposto, e loro attesero pazientemente; ed ingannarono il tempo osservando i partecipanti.

Io non esisto io non esisto gridava l'interiorità di Agostino.

Siccome che erano bravi e gentili, gli altri giovani, educati nell'etica scout, socializzarono, chiedendo, dapprima, ad Agostino come si chiamava.

Lui rantolò —...hghstnu...—

—Come?—

—(allora mi sfottono!) A-GO-STI-NO!!!— gridò lui, ché capissero che lui non era un succube, che li avrebbe sistemati se non stavano a modino, e li guardò con occhi d'odio, alterato in viso. Loro ci rimasero un poco perplessi, e per un po' non seppero che dire. Qualunque quindicenne nella norma a quel punto lo avrebbe lasciato alle sue nevrosi, ma loro no, erano particolarmente santi e ritentarono.

—Ti piace Edoardo Bennato?—

—(perché mi perseguitano, lo so che ho il costume) Mah, insomma, non è che ascolti molto quel tipo di musica (to', becca questa!).—

—Ah, vabbé.— e chiusero il discorso.

Siccome questi giovani erano esageratamente amiconi, nonostante Agostino si fosse reso perfettamente odioso, lo invitarono ad un falò con chitarra per la sera stessa; persino il nostro eroe, nella sua follia, si rese conto che lo invitavano più che altro per abitudine. Lui grugnì senza accettare, tanto per far capire che se era per sfottere non avrebbe dato loro soddisfazione, dato che non si sentiva affatto inferiore a loro. Tz! Anzi, avrebbe disdegnato persino la loro compagnia. Prese e se ne andò.

—O quello?— chiese Maria Carla a Jean-Christophe.

—Lascia stare, è mio fratello;— intervenne Martina —è scemo.—

Così Agostino ottenne quello che desiderava, essere considerato scemo. Ora tutto stava nel convincere mamma e papà.

I quali, nell'intenzione del nostro, non avrebbero dovuto sapere assolutamente nulla di quell'invito, ché non cel mandassero. Ma: Martina, dietro pigro invito di mamma che non pensava ciò creasse guai, raccontò la sua giornata, infierendo con malefico candore sulle figure di merda del fratello, e dettagliando anche dell'invito per la sera.

Papà portava addosso una camicia e basta e leggeva un giallo.

Mamma un prendisole a fiorellini e annotava un saggio sul Partito Comunista negli anni cinquanta.

Martina si grattava una coscia e fumetti.

L'isoletta era un' oasi di pace.

Per cui nel silenzio frastornante e atroce della sera Agostino si sentiva tuonare nelle orecchie, come avesse una famiglia ventriloqua, la loro esortazione: "...eesciiii...soociaaliiiiizzaaaa...", ed era tutto teso e sudava freddo e il costume gli dava prurito e voleva gridare no no non ci vado ma mamma non gli diceva niente e papà neanche e allora forse se n'erano scordati e lui non ci voleva andare alla festa con chitarra non conosceva canzoni era stonato non era fico si vergognava di far vedere il pisello era uno stronzo tra i pomodori era basso e brufoloso e preferiva la musica anglosassone "patinata" e falsa quanto vi pare ma non poteva mica sforzarsi di farsi piacere qualcosaltro per quei deficienti perché lo apprezzassero tanto non lo avrebbero apprezzato mai e comunque non glien'importava nulla perché lui li ODIAVA!!!!! Ansia di distruggere qualcosa, istinto di morte. La lotta psichica lo consumava a tal punto che quando mamma gli chiese

—Ma non ci vai, a quella festa?—

lui non rispose altro che

—No.—

E allora cominciò la solita lagna e litania e tutte quelle storie che non era possibile che fosse così represso, "non ti abbiamo mica educato così, noi", che si rendeva sempre più vittimista e basantesi sul vacci almeno per farci un piacere, con quella nevrosi e quella mancanza di comprensione e amore tipica dei giorni di vacanza, dopo che si è stati costretti a mordere il freno sul lavoro per undici mesi e ora il boss dello studio (Carlo era architetto) non c'è e tutte le frustrazioni e le ansie di potere si riversano sulla famiglia e allora in culo Marx e il behaviorismo e il DSE si fa come dice papà con le buone o con le cattive, mentre invece magari in pieno Marzo si manda la bimba a un corso di espressione corporea gestito dalle femministe della Casa del Popolo. Agostino, per non doverli sopportare, uscì, dicendo che andava al falò di cui sopra, ma senza aver la minima intenzione di farlo veramente, costretto alla menzogna dalle debolezze proprie e altrui. Belzebù ghigna e segna un punto.

Una volta però fuori, nel buio integrale appena stellato, Agostino fu solo. E come la falena, insetto solissimo, va al lume ché le faccia compagnia anche se nel dolore, i suoi piedi si diressero alla spiaggia donde venivano canti. Aveva il costume, e anche una maglietta; e se l'eroe dostoevskiano, giunto al fondo del baratro, trova la catarsi solo in punto di morte per esigenze patetiche dell'autore, dentro Agostino le schiere degli angeli e dei dèmoni si preparavano, consce, loro alberganti nei profondi strati della mente, dell'imminenza di una battaglia decisiva.

(Chiaramente il nostro era integralmente ignaro della crucialità di quel momento: la anticipiamo noi per creare tensione.)

Comunque andava alla spiaggia, dato che era solo e non costretto a far bella figura di spigliato coi suoi. Si perse un po', nel buio, ma giunse infine. Loro stavano tutti lì, a cantare giulivi. Lui si avvicinò, ed essendosi scordato di quanto era importante farci amicizia, e che lo prendessero subito in simpatia, non curò più di tanto la corretta enunciazione del proprio nome, che infatti venne fuori comprensibile e non strozzato da dizione artificiosa scarsa; e quando gli chiesero come mai aveva un nome così strano lui non si pose neanche il problema se lo facessero per sfottere: rispose boh; e non temette di ammettere che non sapeva le canzoni, e avrebbe cantato solo il ritornello dopo due o tre volte, e anzi, anche se sbagliava non si era mica alle preselezioni per Voci Nuove, si fa per stare insieme, no?; Agostino capì non tutte le barzellette, non sapeva una canzone che era una, aveva la pelle grassa e a un certo punto addirittura rispose male a uno, non si capisce bene perché, ma non temette di essere rovinato integralmente perché tutti davano ragione a questo, si riuscì a cambiare discorso, e certo era anche merito di tutti quei bravi ragazzi abituati, non costretti di punto in bianco, a stare tutti in compagnia, anche loro con tanti problemi certo ma insomma disponibili almeno un minimo, e anche se non era considerato il bell'Adone della congrega la cosa non turbava più di tanto Agostino che in una delle innumerevoli frammentazioni del discorso scoprì un certo numero di interessi in comune oltre che una parimenti sgraziatella fisicità in un altro di questi; e meno male che le ragazze erano tutte un po' ganzine sennò si innamorava quella sera con tutto il corollario di insicurezze ma vabbé tra l'altro tutti erano in pantaloncini, e quindi lui non si fece notare per il suo abbigliamento e insomma si scordò di avere sempre su di sé una telecamera che controllava che fosse felice e amato e che si divertisse, così si poté lasciar vivere dall'interno. E stette bene. Dio vince sia gloria a lui amen. Belzebù getta il cappello e lo pesticcia. Per ora.

Perché poverini, i Gramigna padre e madre, mica apposta, ma con la loro presenza causavano delle tremende ansie ad Agostino. Lui stava lì, nel suo mondo, integrato se non altro come essere umano, e loro che non lo vengono a cercare perché è tardi? a) Apparendo, e spaventandolo; b) Facendogli fare la figura del bamboccio; c) Innescando la reazione a catena di considerazioni paranoiche per una esemplificazione della quale v. sopra. Lui resistette ancora un po', il tempo di dire "Beh, allora ciao!" e di rispondere un no non posso ad un'esortazione a restare: voltate le spalle le gambe presero un po' a tremargli e pensò che tutto sommato era meglio che se ne fosse andato perché si annoiava e anche a loro probabilmente rompeva le scatole o nella migliore delle ipotesi non faceva né caldo né freddo; e così via. Tutto sputtanato, da capo.

Anzi quasi. Perché il tipo con cui aveva chiacchierato un po' di più giunse la mattina dopo verso le otto, e Agostino lo accolse volentieri. Oddio, volentieri forse è un po' troppo; ma visto che ciò lo sollevava dall'incombenza di dover affrontare la selva oscura della conflittualità infrafamiliare, ne fu sollevato. Si stava infatti svolgendo un terribile gioco di tensioni riguardo all'abbigliamento per la giornata, e Agostino deliberò, quando gli fu annunciato che Giuseppe era giunto, che si sarebbe messo precisamente come lui, né un filo di più né uno di meno. Giuseppe era nudo. Guardandolo giungere, con gli occhiali sul naso e il corpo bianco a chiazze rosse, con l'aria spaesata, era come vedersi allo specchio; era lì lì per disprezzarlo, ma poi Giuseppe gli propose per l'appunto proprio il gioco che lui preferiva in assoluto (eseguire microinterventi idrografici sui ruscelletti nelle dune dietro alla spiaggia), e allora lo amò, lo apprezzò per il suo coraggio e la sua disinibizione, si tolse le Cagi e se ne uscì con lui baldanzoso, salutando appena con un cenno i familiari. Mamma e papà si dicevano "Hai visto? Prima o poi..." con la testa.

La scena successiva vede Agostino accosciato al ruscello con Giuseppe prendere sassolini qua e là per fare una diga. A tutti e due penzola il pisello. Agostino guarda quello di Giuseppe. Giuseppe guarda quello di Agostino. Tutti e due i cinci lentamente si ergono per quanto possibile. Insieme ne ridono.

—Senti, ma te— fece Agostino —non ti vergogni a andare nudo in spiaggia?—

—Un po' sì, ma poi ci fai l'abitudine. Tanto sono nudi tutti.—

—Ma se poi...— disse Agostino indicando i loro cosi che avevano oramai raggiunto posizione parallela al terreno.

—Io ho un metodo infallibile: appena te ne accorgi, pensi subito a tua madre. Vedrai che ti passa.—

—Sì, ma io non ci riesco, a pensare a una cosa che voglio io: se ci provo, penso sempre a quello che non devo pensare, e va sempre a finire...—

Risero.

—Bo, sennò un altro metodo è infilarsi nell'acqua.—

—Sì, ma prima di arrivarci...—

—Cosa?—

Agostino fece un gesto eloquente, come di uno stendardòforo pinguino.

—Eh, vabbé, tanto succede a tutti i maschi.—

Questo sentirsi improvvisamente integrato nell'ecumene maschile sollevò Agostino estremamente. Continuarono a deturpare il corso del rigagnolo finché, verso mezzogiorno, non lo ebbero arzigogolato all'inverosimile e gli sbarramenti e i canali non ebbero ceduto alla forza della natura, che ripristinò il corso regolare mentre loro s'incamminavano verso la casa di Giuseppe per mangiare qualcosa.

—Ma ci sono i tuoi?— chiese Agostino sul sentiero.

—Mia madre, credo che si alzi ora.—

—Ora?! E tuo padre?—

—Mio padre è rimasto a casa.—

—E tua madre dov'è andata, scusa?—

—Come dov'è andata, è qui!—

—E allora tuo padre dov'è?—

—A casa, a Firenze. Io non abito mica qui, sai.—

—Ah, tuo padre non è venuto? E sei da solo con tua madre, allora?—

—No, c'è anche Frank.—

—Ah... è un tuo amico?—

—Sì.—

—E come mai non c'era, ieri sera?— chiese Agostino che non si stava a chiedere se, casomai, scocciava con tutte queste domande.

—Boh, sarà andato a un party con mia madre.—

Agostino ci capiva sempre di meno.

—Ma come, ma è un amico tuo o—

—Vabbé, è un amico anche mio, ma qui è venuto con mia madre.—

Come si fa ad essere amici degli amici dei propri genitori, si chiese Agostino.

—Ah, ma è un'amico dei tuoi, allora!—

—Beh, è un amico di mia madre.—

—E non è la stessa?—

—No...— E dopo un po': —I tuoi stanno insieme, scusa?—

—No, sono sposati.—

—Sì, vabbé, ma abitano insieme?—

—Eh, beh, certo che abitano ins... ah, i tuoi sono "divorziati"?—

—Eh, sì.—

Agostino guardò Giuseppe con occhio curioso. Che buffa cosa, pensò, avere due famiglie, doppi regali di compleanno, doppie vacanze... queste erano le cose che aveva sempre sentito dire dai figli di genitori divorziati.

—Beato te.— disse.

—Mah, insomma, mica tanto.— rispose l'altro. Ma nel frattempo erano giunti.

La casa era bianca di calce, immersa nel verde, come tante. Solo, magari, considerato che era casa al mare, un po' meno trasandata, più lucente; i colori erano più contrastati, il cielo sembrava più blu, le piante meno mediterranee. Dalla porta lucida a coppale i due entrarono in un salotto dal disordine assoluto e con un'atmosfera chiusa e puzzolente di fumo stantìo. Da una delle camere sulla destra si udì un rustle rustle.

—Frank, sei tu?— gorgogliò una raucedine femminile.

—No, sono io, mamma.— diede voce Giuseppe.

—Ah, Giuse.— Apparve una signora in vestaglia, un poco tremula, una quarantenne passata dalla puerizia alla decadenza senza mai esser stata matura. Aveva i capelli rossicci henné e gli occhi pesti, e si reggeva la testa con una mano sulla nuca, mentre con l'altra teneva una sigaretta e si grattava un fianco. —Quello è un tuo amichetto?—

—Si chiama Agostino.— comunicò Giuseppe, con un bizzarro misto di paura inquieta e strafottenza. —C'è da mangiare qualcosa?—

—Hmm.— fece la donna, e si avviò per un corridoietto, che evidentemente non portava in cucina, dato che Giuseppe ripeté la domanda. —Guarda in frigo.— e bussò ad una porta chiusa. Non le fu aperto, e pertanto si sbatté sul divano cui anche i due ragazzi si erano avvicinati con la loro pesca. —Come hai detto che ti chiami? Ah, Agostino. Bel nome... come quello di Moravia, spirituale. [Pausa; i due tacevano] Che caldo che fa... [pausa] con la mia pressione bassa non riesco neanche a stare in piedi...— Guardò i due che la osservavano a loro volta, perplesso uno, impaziente l'altro. —E va bene, si vede che non vi interessa la mia conversazione. Ciao, eh?— Si alzò e tornò in camera.

—Ma si è offesa?— chiese Agostino quando la porta si fu chiusa.

—Lascia fare, fa così per sentirsi giovane.— rispose Giuseppe con una spallucciata.

Agostino si domandò cosa doveva aver fatto quella donna perché il figlio la disprezzasse a tal punto.

Mangiarono il frutto e fecero un gioco in scatola, complesso, che Giuseppe spiegò e Agostino imparò volentieri. La madre uscì poco dopo con Frank, un omaccione che disse ciao ciao ai ragazzi con voce flautata e un asciugamano in vita tipo gonnellino. Appena se ne furono andati la conversazione poté tornare a vertere su argomenti proibiti. Quasi subito Giuseppe, come a vantarsi, comunicò che Frank, in camera, aveva dei giornalini porno.

—E te ci hai spiato?— chiese Agostino, un poco ipocritamente.

—Noo... cioè, non ce li ha mica nascosti.—

Agostino fu allibito dall'ossimoro. Giornali porno non nascosti?

—E tua madre non dice niente?—

—Che vuoi che dica, tanto lui se ne frega.— Parve ad Agostino una strana amicizia, questa, con una signora, madre di famiglia, succube di un celibe. Poi fu illuminato.

—Ma lui è... il nuovo marito di tua madre?

—Noo,— lo deluse Giuseppe —è gay!—

"Cosadiamine?!?!" avrebbe voluto gridare Agostino non fosse stato altro che per l'assoluta tranquillità con la quale il precedente concetto era stato dall'altro espresso.

—Non c'è mica niente di male, è una cosa normale, sai.—

Agostino era un poco in soggezione, e non voleva mostrarsi chiuso o gretto o così, dato che gli avevano insegnato ad essere assolutamente progressista in teoria, tenendolo però bene a distanza da tutti i lispettabilissimi divelsi. Aveva nel sangue sin dalla più tenera etate che sante sono le lotte per i diritti di tutti, anche di coloro per i quali non si nasconde disprezzo. Quindi era ad un gradino ancora superiore del "facciano quel che vogliono lontano da casa mia": "facciano quel che vogliono anche a casa mia ma preferirei che lo facessero a casa loro".

—Anch'io sono un po' gay, credo.— continuò Giuseppe.

Eccoci, pensò Agostino. Una cosa è in teoria, altro è ritrovarseli davanti veramente... e poi, lui, così giovane... "gay"? A tredici anni? Ma allora è una malattia per davvero! Agostino cominciava a sentirsi un po' a disagio, soprattutto perché temeva che si notasse che lo era, a disagio.

—Ti va di vedere i giornali di Frank?—

Bim, bum, bam, tranquillo, lui! "Ti va di..." OH! Calma, eh! La consultazione di riviste di "quel tipo lì" ha numerose valenze sacrali! Ad Agostino, nonostante il lieve scandalo che l'aveva fatto arrossire, s'illuminarono—luccicavano gli occhi all'idea. Tese le labbra in un sorriso trattenuto e concitato. La risposta era sì.

Si misero sul letto di codesto Frank, odoroso di uomo. Giuseppe prese un pacco di riviste dai nomi inequivocabili dal comodino. Ne aprirono una religiosamente, cominciando da pagina uno.

—Ma sono tutti uomini!— protestò Agostino dopo un po', pur se con la voce un poco strozzata dall'emozione.

—Sì sì, però ti s'è rizzato.—

Agostino controllò, era vero.

—Allora sono "gay"?— chiese trèpido.

—Non è detto.— disse Giuseppe.

—Allora cosa vuol dire?—

—Che un po' ti piace.—

—Sì, è vero... un po'... mi piace.....—

Guardando giornalini e stando sul letto, la cosa si fece languida, ed Agostino e Giuseppe si addormentarono, abbracciati alla carta. Che quando ripresero coscienza si era assai gualcita sotto di loro. Per fortuna l’orologio digitale multifunzione di Agostino li informò che era passata solo un’ora e mezza. Decisero allora di ritornare alla piaggia.

Vedendolo nudo, pimpante, chiacchierone, i genitori di Agostino si strinsero la mano amorevolmente. Ancor più gai furono che egli manco li guardasse, ed andasse diretto sulla rada a fare castelli, con la sabbia che gli s’infilava tra le natiche e gli solleticava il buchetto; cosa di cui lui non mancò di godere, pur se senza dirne a Giuseppe.

Si faceva sera, e i Gramigna erano spossi, ma avevano timore ad interrompere questo miracolo. Il sole pareva un grosso tuorlo, e tutti se ne stavano andando. Rimanevano loro due e le rispettive famiglie (chi più chi meno).

Venne la mamma di Giuseppe a chiedergli se non volesse tornare, che loro andavano. Lui e Agostino si sogguardarono, poi il nostro disse:

—Perché non ceni da me?—

—Va bene.— risposero madre e figlio. Vista una genitrice con i due pargoli, i signori Gramigna decisero di appropinquarsi pure loro. Ci saremmo aspettati un corto circuito, invece Agostino se ne fregava, dei suoi genitori, ora, e se ne fregava che facessero "conoscenza" con l’altra donna, e se ne fregava che tutti fossero nudi, incluso Frank che leggeva un grosso paperback in lontananza, asociale. Tutti andarono.

Qualche sera più tardi, scene simili ripetutesi ad ogni tramonto, Giuseppe chiese ad Agostino se andava con lui a una festa. Lui disse di sì, che venisse su a domandare il permesso ai suoi. Carlo e signora, però, svanito quel salutare entusiasmo democratico derivato dalla scoperta che loro figlio non era un totale impedito, tornarono normali, e fecero domande: dov’era la festa, e chi c’era?

—In una casa più su, non lo so di preciso. Ci andremmo con mia madre.— spiegò Giuseppe.

A questa scoperta, che la festa era di "grandi", mamma e papà non furono felicissimi; non potevano però negare la licenza, per non parere anticaglie. Quindi andarono, un poco emozionato, Agostino, al pensare i misteri venturi.

La festa era in un giardino di casa, signorile, con un portico sotto il quale era sistemato lo stereo che sparava bassi ritmati. Agostino era frastornato; non tanto dalla musica, né dalle donne nude (tutti erano vestiti da sera), ma dalla quantità di sigarette che si vedevano girare per l’aria nella penombra, e dallo scintillar dei bicchieri. Lui e Giuseppe, ignorati dai loro Ciceroni subito avvolti in un vortice di gente, si misero un po’ defilati, dietro un cespuglio, non lontano da un tavolino. Su di questo troneggiavano tanti bicchieri, delle bottiglie dai nomi proibiti, pacchetti di sigarette americane aperti, accendini di metallo, tutte cose da associare al gran lusso. Giuseppe prese un bicchiere, lo riempì di Batida e lo porse all’amico. Questi lo guardò con occhi scintillanti.

—E se ci vede tua madre?— chiese il trepidante, al che l’altro si limitò a fare spallucce, poi addirittura prese una sigaretta e se l’accese. Nel cranio di Agostino turbinavano migliaia di punti esclamativi. Però bevve, e prese anche lui una sigaretta, sorridendo eccitato.

Il loro orgasmo, dopo un quarto di bicchiere ed una Marlboro ciascuno, era diventato insostenibile. Sembrava ad Agostino di non potere stare più nella pelle, figuriamoci nei vestiti. Nel frattempo parte di lui si sforzava immensamente di pensare a qualcosa che avrebbe dissipato l’immagine certamente gregaria che da lui emanava all’amico. Fu così che propose:

—Ho un’idea ganza. Mettiamoci in mutande e andiamo a ballare in mezzo alla pista.— Giuseppe si mise a ridere ed annuì forte, anche lui galvanizzato furiosamente. Così, battendo le mani per ottenere il minimo di calma muscolare necessaria per por mano a bottoni e lampo, si misero in mutande (boxerini per Giuseppe, le solite per Agostino) e si gettarono di corsa in mezzo.

Molti grandi erano già sudati e scalmanati sullo spiazzo mattonellato che fungeva da pista, e si sdavano oltremodo. Così, quando videro i due bolidi, a loro parve uno splendore che due virgulti partecipassero: rendeva il festeggiare, spesso solo inerziale, cosa viva e vera. Giuseppe e Agostino si agitavano sgraziatamente e ridendo, ma parevano angeli; questo soprattutto alla numerosa parte di checche del luogo. Giuseppe, visto il successo dell’iniziativa, tutto rosso in faccia, si mise a fare la spogliarellista e cominciò a calarsi le mutande; ed Agostino, giunto fin lì, non poteva mica essere da meno. Fu così che rimasero ignudi a saltellare. Questo emozionò i loro maggiori, che vistisi sorpassare in audacia ludica da due pischelli non vollero restare indietro.

La musica batteva più lenta del cuore, ed Agostino, immerso in una nuda moltitudine, zompante frenetico per scordare imbarazzo freddo malagrazia, si sentì svuotare e di nuovo riempire da un calore. Urlava, agitava il suo pippolo con la mano, in una frenesia selvaggia di libertà, abbracciava Giuseppe e chiunque gli stesse a tiro.

Non raccontò nulla della serata. E da allora in poi, fino almeno ai ventiquattro anni (quando successero altri fatti) non temette più il proprio corpo, con grande soddisfazione dei genitori che tuttavia non sapevano dei suoi divertenti giochetti con alcuni compagni di classe. Il fragore del pudore si era spento in lui.