La piazza

—Cosa sta facendo?— chiese la Gina del bar alla donna seduta accanto.

—Un golfe per il mi' nipote,— rispose quella —sa, è cresciuto tanto guest'anno, ha bisogno d'un golfe novo per l'inverno.—

—Bella lana!—

—Sì; il modello l'ho preso da Grazia.— La donna che non era Gina sferrusse un pochino, ma enigmata del silenzio del torrente ciaccolatorio della barista le alzò gl'occhi in viso. Lo sguardo di Gina si posava lontano, verso un angolo del giardinetto.

—Lo sa chi sono quelli?— disse l'intrecciatrice —Buon per lei se non lo sa, signora Gina, quelli son dé pògo di bono. E li gonosco sa'! Un di loro abita nimmì palazzo!—

—Belli nun sòno.— statuì l'esercente.

—Lasci fare, dia retta a me, lasci fa' come son messi. Son de' mascalzoni!—

—Eh, si vede.—

Di là, tra le verzure, molleggiavano i culi sulle scarpe da basket onde ondeggiare le chiome tre giovanotti. I loro giubbetti di ginz erano istoriati di toppe variopinte inneggianti a svari complessini e/o miti rock intercalate a scritte malferma manu di ingiuria vagamente anglofona; prediligevano, lo si vedeva di lungi, lo scotimento bovino del capo a gesti più signorili: lo dico così, non che fosse da stupirsene.

Si sedettero tacui su di una panchina libera. A sinistra Alessio dai capelli lunghissimi, gli occhialini e la barbuzza ciùffida, mentre a Maurizio e Luca erano semplici zazzere, testimoni di una più recente o meno radicale adesione al culto di palese estrazione sikh consistente nella sacralizzazione dell'escrescenze pilifere; e non solo tali, a vedere dalle brufobollopuntineriscenze nel loro viso cuncto. Non è in verità che fossero tremèndimi fisicamente; solo la marchesa, magari, poteva nutrire qualche preoccupazione pella lor demoniaca influenza sul figlioletto ludente da quelle parti, ma spenti com'erano non è che dessero tutto quest'incentivo a pervertirsi.

Infatti s'annojavano; infatti per questo s'eran fatti vedere lì: per "cambiare"; deinde: s'annojavano. Luca ogni tanto si metteva a mimare il batterista dei W.A.S.P. e a produrre ex ore i rumori corrispondenti; ma, checché che fosse settembre, c'era abbacchio tra loro. Chi dei tre non avrebbe preferito spararsi un buon vecchio Zeppelin a tutto fòo zompando per la stanza con la racchetta da tennis a mo' di Gibson Lespó, in quel momento?

Tutto sommato, in somma, tirando le somme, badavano ai fatti propri. Come faceva peraltro anche un altro aggregato giovanile, più integrato nel contesto sociopolitico del giardinetto anche per motivi storici: trattavasi di due ragazzini, uno e una, che giocavano a pallavvolo lì a un dipresso insieme a degli anonimi sei-ottenni. Data la scarsa abilità di questi ultimi la palla si sperdeva spesso pelle lande dell'agorà; e quando ciò si dava tutti gridavano "Pallaaa!!", certi che degli astanti alla sfera uno si sarebbe lasciato prendere o da benevolenza o da rigurgiti da onirico eroe degl'istadi e l'avrebbe mandata indietro. Ora, nel momento che c'interessa, detto rotondo giocattolo ruzzolò prossimo la panca coi didietri dei tre giovanotti. Beatrice, Matteo e gli altri mocciosi tutti insieme gridarono "Pallaaa!!", fiduciosi che quelli l'ârebber resa. E invece non si alzavano.

—Oooo!! Pallaaa!! Pallaaa!!!— insistevano. Nulla. —Oooo!! Pallaaaaa!!!!— Matteo, visti gli effetti, andò a recuperarla lui stesso, correndo al suo modo: a gambe strette, con gli avambracci sbatacchianti ed agitando tutto il torso zampettò e la riprese. Nell'attimo in cui si trovò più vicino ai nègligi adoleincoscienti notò che Beatrice guardava nella sua direzione.

—Oh— mezzosopranse ai tre —potevate anche tirarla, la palla.— Ma, dolci gl'occhi e i capelli ruffi, non era tanto convincente come duro. Infatti

—Oh, che cazzo vuoi?!— gli ringhiò Luca, a lui che stava, visibiliter emozionato, in palo appo là.

—No,— conciliò il piccolo —però potevate anche tirarla, la palla.— Il màlfamo si smosse appena e accennò tensione d'attacco.

—Va' via, bùo, che ti riempio di botte.— Matteo obbedì, lo zazzeruto si volse e commentò —Madonna Ciccone che palle `sti ragazzini mezzi bùi.— reiterando con scarsa fantasia.

—Che gl'hai detto?— chiese Beatrice al remeante Matteo mentr'egli accingeva l'Io al palleggio. Lui alzò una spalla, gongolivo d'eroismo.