Il gabbiano

—L'hai preso! L'hai preso!— gridava sorpreso giojoso Damiano saltellando. Lei accanto, di 90 gradi, contemplava l'opera barbara grattandosi l'interno di un piede con l'altro, ed era dura.

Ve lo dico perché casualmente passavo di lì. E m'appropinquai furibondo e minaccioso ai due eccitatissimi assassinini: appena mi videro assunsero un'aria rammaricata da "malaugurato incidente".

—Ma che avete combinato!?— berciai, come se me ne fregasse alcunché del gabbiano giacente e moribondo. —Forza, chi è stato?—

—Io.— disse Damiano avanzandosi d'una decina di pollici; ma era così rosso e ridicolo che anche non avessi visto la scena; e Teresa sorridazzava della cavalleria pusilla del moccioso.

—Vabbe', i conti li facciamo dopo,— grintai; —intanto andate a sotterrarlo nel bosco, che qui non ci può stare. Forza! Via!— Damiano si volse sgomento alla lei ché il guidasse, e lei spallucciando pronunciatamente afferrò la carcassa per il collo e se la menò via sgocciolante sangue terroso, dondolandola, con il bimbo che le trotterellava dietro a una lunghezza e mezza.

Da quando era arrivata Teresa il lavoro si era fatto assai faticoso. Non solo trascinavasi ella didietro tutti i "problemi" e le tensioni casalinghe, ma pure tutti i maschietti della colonia accalappiati dalla sua femminilità, all'apparenza, adulta; in confronto a quell'altre. Mi grattai il capo e me ne massaggiai la spazzola, mentre loro sparivano in pineta. Repressi l'impulso di seguirli e cercai Ferruccio onde avere, se non altro, sostegno morale o comunque uno che stesse dalla mia parte.

Per raggiungere le nostre due ridicole stanzucce c'era da traversare la camerata maschile, il che io, sgravato di responsabilità "essendo tutti i ragazzi al mare col bagnino" e quindi felicissimo, feci un po' saltando un po' scalciando gli schifosi cumuli di vestiti sudosi sparsi per le terre. Ad ogni passo mi montava la stizza per quel deficiente che mi avevano appioppato (Ferruccio), il quale, essendo un certo tipo di obiettore di coscienza in servizio civile, si faceva punto d'onore di non fare un bel cazzo onde ribadire la sua protesta contro il sistema. È pur vero che stavo per inciampare in un particolarmente vorace groviglio di tony, ma non avessi alzato gli occhi al cielo per invocarne forza d'animo non avrei visto un ragazzino occhialuto seduto vestito senza scarpe su una brandina di sopra con un libro in mano. Essendomi fermato stranito, lui avrebbe dovuto voltarsi e notarmi, ed invece tutto teso e col viso contratto continuava a fissare il vuoto in direzione dell' "Introduzione alla fisica".

—Gian, come mai non sei in spiaggia?— gli chiesi. E lui zitto. —Gianluigi, speri forse di farmi credere che io non esisto?— Silenzio. —Ochei. Allora sei tu che non esisti... sentiamo un po'...— e allungai la mano per pizzicargli la guancia. Lui si scostò e si mise su un fianco, dandomi la schiena.

—Uhm,— continuai a scherzare —mi è parso di sentire qualcosa muoversi.— e gli pizzicai un fianco, essendomi nota la sua particolare sensibilità là. Lui contenne al massimo l'inevitabile sussulto: e io allora, o ma quanto sono bravo e coscienzioso anche troppo a volte, zompai atletico a sedere accanto a lui e gli dissi piano come ad un amante —C'è qualcosa che non va, Gian?— Lui diniegò. Boh, se non altro mi aveva sentito; riscesi e continuai a cercare Ferruccio, che non era in camera, e perciò lo andai a pescare in spiaggia.

Chiaramente lui, coi suoi ricciolozzi da bischero, essendosene stato spaparanzato al sole privo di senso del dovere come un circasso, rispose bo alle richieste d'illuminarmi su eventuali motivi della dipartita del Gianluigi dal granel silicico, e ostentò di strafregarsene del testé avicidio. Maledicendolo a mezza bocca andai a chiedere ai due ragazzini con cui solitamente Gianluigi s'accompagnava, tutt'e tre fanti di spazio ed armi chimiche, nel mentre che scavavano nella sabbia complessissime piste da bilia cui poi non dilettavansi di ludere. I due dei tre sedevano nel retrospiaggia, cappellinati da béizbol. Dissero che dopo una pomeriggiata di distrazione il Gian se n'era fuito autodiagnosticandosi un mal di cranio. Mi ruppi le scatole d'indagare, ed arrogatomi mancanza di ulteriori doveri m'andai a stender in sul letto col mio Gabriele in paperback. Ferruccio oramai aveva smesso di seccarmi con le sue storie sul diritto all'opposizione al sistema, con io che, scandalizzandolo, semplicemente sostenevo non essere dovere del sistema il garantirlo, ed era primissimo pomeriggio, insomma non mi vergognerò a dirlo dopo due o tre pagine il Ninfale Fiesolano mi calò in un profondo ronfo che fu rotto solo per cena.

Alle dieci spedii tutti a letto, per formalità. Ovvero perché secondo regola così dovevasi fare, e sol così la maggior parte s'addormentava verso le una e l'hard-core (anche in senso traslato) tirava si e no le tre. Mentre Ferruccio nell'altra stanza si era messo le cuffie in testa e grazie ai Dire Straits evitava di sentire alcunché, io in pigiamino neppure mi ero infilato sub lenzuolos tanto lo sapevo.

Le 11. Si sentì un trambusto nella camerata dei ragazzi. Ringhi e urla rattenute, sottovoce, incitamenti bisbigliati. Sospirai e mi misi la vestaglia, pessima per il caldo che faceva ma ottima per darmi autorità sui seminudi implumi, poi spalancai la porta ed accesi la luce. Due corpi avvinghiati al suolo non fecero in tempo a rendersi innocenti: si alzarono, ed erano Damiano e Gianluigi.

—Fermi tutti!— gridai sergentesco —Cosa sta succedendo?— Il ruscello di mormorii abbozzò un ritorno ma io alzai la sinistra del potere e tutto tacque.

—Forza, ditelo a alta voce.— La plebe vacillava preda d'un gran dubbio. Poi uno si alzò dietro i Due Contendenti in Cerca d'Onore che non avevano neppure osato ficcarsi nel letto tanto erano impietriti: un certo Marco, uno che da grande voleva fare l'investigatore privato e nel frattempo si faceva gran pregio di collaborare con le forze dell'ordine (me). Chi dice "spia" lo rimando nella Cina di Mao. Tiè.

—Dimmi Marco, che è successo?— chiesi; bastò.

—Allora.— iniziò, —Dopo un po' che eravamo andati a letto Giusti Damiano si è messo a raccontare che oggi lui era andato da solo con Madonia Teresa sullo spiazzo vicino alla pineta e lì avevano ammazzato un gabbiano, e poi ha detto che era arrivato Lei [pronunciò la maiuscola] e lui si era preso la colpa, e poi dopo quando erano andati a seppellirlo avevano fatto il patto col sangue e poi Madonia Teresa gli aveva dato un bacio. Allora Ofman Gianluigi ha detto che non era vero. Allora Giusti Damiano ha detto che invece era vero e che Ofman Gianluigi non poteva saperlo perché lui non c'era. Allora Ofman Gianluigi ha detto che invece lui lo sapeva perché Madonia Teresa era la sua fidanzata anche prima che veniva... che era venuta alla colonia. Allora Rogai Gorchi ha detto che era scemo perché Madonia Teresa era una... eh... ergh...— tutti risolinarono, perché lo sapevano.

—Vabbe', lascia fare.— lo spicciai.

—Sì. Allora, ha detto che tanto i baci li dava a tutti e che se uno gli chiedeva di essere fidanzata lei diceva sì ma poi non glien'importava. Allora Ofman Gianluigi ha detto che non era vero e che Giusti Damiano era troppo pauroso per difendere e per prendersi la colpa. Allora Giusti Damiano ha detto che era scemo perché difendeva una... vabbe', e che era più pauroso di lui e ha detto occhialuto. Allora Ofman Gianluigi ha sce... è sceso dal letto e ha detto di vedere chi era più pauroso. Allora Giusti Damiano ha sceso dal letto anche lui e si sono messi a picchiarsi. Poi è arrivato Lei, e allora...—

—Ho capito— dissi. Poi, salomonico: —Ora dormite, ci penserò domani.— Fino alle una li sentii chiacchierare piano, poi ronfai.

Ferruccio fece l'immane sforzo di alzarsi alle 9 per tirare giù dal letto le fanciulle, essendosi addormentato alle undici e mezza. Me, credendo farmi un piacere, mi svegliò a mezzogiorno; già c'avevo la smania, figuratevi quando mi disse

—Ah, Agostino, il letto di quella siciliana, Madonia...—

—Sì?!— impazienteggiai.

—Era vuoto, quando le ho svegliate.—

—Cosa?!!—

—Vuoto: lei non c'era.—

—Sì ma... se n'era an... cioè:— balbussi —ha dormito lì o no?— —Boh, e che ne so. L'ho chiesto, sai, a quell'altre; ma non lo sanno.—

—Sì, magari mentre facevano la doccia! Avresti creduto a tutto, se anche tu avessi ascoltato... [suvvia Agostino non essere così cattivo] Hai sentito se il materasso era ancora caldo?—

—Ah sentilo! Io certi metodi da Kapo di Buchenwald non li uso!—

—Eh, sì, tu i loro letti li guardi solo per vedere se hanno avuto le mestruazioni!— lo accusai, di un delitto che io non avevo l'ardire di commettere.

—Sieh, 'mportunasega. Te, piuttosto, se vuoi fare la checca con aspirazioni pederastico-materne, vai a divertirti in India, che—

—Ora non metterla sul personale!!!—

—Ma se sei te che la metti sul personale!!!—

—Dovresti stare zitto che non fai mai un cazzo!!!!!!!—

—Quanto sei piccoloborghese!!—

—Quanto sei adolescenziale!!— e, stizzito è dir poco, sbattei la porta per uscirmene ed iniziare le ricerche del caso. Entrato nella camerata maschile la trovai sonnecchiante e stravaccata, odorosa di chiuso infantile cioè puzza di piedi e di ascelle glabre. —Ma non hai svegliato anche lorooo!!?!?—

—Ma se era compito tuo...— Un po' in ritardo, ma mi resi conto che era stupido aspettarsi miracoli. Repressi in un rantolo un grido selvaggio e partii.

Grazie al Cielo almeno Teresa la trovai subito; alla spiaggia, dov'ero andato a porre domande vere se non altro alla vicine di letto. Se ne stava lì placida, vestita di una minigonna nera, semisèssa sulla scala del trespolo del bagnino Stefano. Pareva non tener pudore dei principii di capezzolo pronti al via per slanciarsi in avanti. Stefano scese e disse:

—Cercavi lei? L'ho trovata verso le nove che dormiva sulla spiaggia. Volevo riportartela su ma sono arrivate tutte quell'altre e lo sai com'è non potevo lasciarle da sole, no? Allora ho mandato su una delle bimbe a chiamarti ma è tornata e ha detto che Ferruccio gl'aveva detto che stavi dormendo e che venivi giù quando ti svegliavi.— e si strinse nelle spalle, perché l'ordine e la moralità notturni non erano di sua competenza. Era mia, purtroppo. Prima di trascinarla via le ingiunsi di prendersi la maglietta.

—Non la tengo.—

—Come! Sei andata fuori... così?!— Bacchettonizzàvomi? Vittorianizzàvola? Non ero sempre stato alfiere della libertà? Non ero cresciuto negli anni settanta? Non...

—No, no, prima la tenevo.— "Ah, beh, allora..." volli tranquillizzarmi; i dieci secondi di pausa mi consentirono di delere pensieri moralisti. La condussi al negletto casermone per tenercela tutto il giorno. Per via, due cose bizzarre: incrociando i maschietti in discesa (gonfaloniere Ferruccio) li sentii sussurgridarsi "Vabbe'" e riderne; e i bermuda improvvisamente mi stavano stretti: forse erano di mia sorella.

Teresa ronfò fino alle sette e mezza.

Verso le cinque andai a vedere un po' che faceva: distesa beata e tranquilla recuperava ciò di cui aveva bisogno. Avvicinatomi notai che neanche s'era cambiata; soltanto, il cencetto biancastro che n'aveva stretto le strette anche anche fino a segnarle ora languiva avvolticchiolatole al dito. Volli, ma che dico dovetti, assicuratomi della solitudine nostra, fuggevole sbirciare sotto il polveroso gualcito gonnellino da selvaggia metropolitana che la salvaguardava da totale nuditate. Trovai, vidi; ma o la vergogna di essermi implicato in una scenetta da filmazzo sexy da TV libera, o una nausea-contrappasso, o un rigurgito di morale o il timore dell'arrivo di qualcuno mi fece raddrizzare il dorso e correre in cucina. Là era Ferruccio che piluccava indolente scartando sei acini su sette.

Codesta carogna, inve' d'ascoltare i miei racconti ed altilai, mi comunicò dall'alto del suo pulpito e letame confecto la sua soluzione, notate o popolo, del "problema Madonia".

—Stanotte la sorveglio io. Dormirà in camera mia. Sta' sicuro che non scappa.—

Mai violino coreano, campana fusa male, sassofono di plastica suonarono così falsi. Figuriamoci se... Ma per non dovermi scontrare con la sua follia e testardaggine accettai; tanto, il mio letto era proprio accanto alla porta della sua camera (chiaramente la stanza di passaggio lui non la voleva).

Tutti i riti serali erano già stati celebrati, avevo già buonanottato Ferruccio e il suo periglioso fardello, e come il contadino sposso andavo a gustare un sonno tanto dovuto che nemmeno il più masochista tra gli asceti avrebbe potuto negarselo. Ma crudele destino volle altrimenti: nel mezzo di un sogno erotico un bimbo mi svegliò concitato: mi preoccupai subito, dacché era noto che i grandi, essendo sempre vigili, non andavano mai svegliati. (Sillogismo ferreo, nevv?)

Quantunque grave fosse stato il trauma della perdita di fiducia in un occhio superiore oggi che Dio non c'è più per questi ragazzi, fu niente in confronto al mio quando, entrato in camerata, vidi per prima un'enorme chiazza di sangue sull'impiantito con una goccia che ancora scivolava tra gl'interstizi delle mattonelle. Devo essere impallidito, mi sarà tremata una mano, sta di fatto che l'autorità che speravo emanare dileguossi quale stearico fumo. Accanto al corpo abbandonato di Gianluigi, un coltello da pasto di quelli economici.

Alle nove di mattina ero all'ospedale, spettinato e con la maglietta alla rovescia, che cercavo di lenire l'ansia e la rabbia dei genitori di Gianluigi, ragazzo che a loro dire non avrebbe mai "commesso un simile atto" se non vi fosse stato spinto da una "situazione anomala" che io avevo "il dovere di conoscere, controllare e reprimere". Il padre, medico, assiduo lettore di divulgazione psicopedagogica, voleva conoscere tecnica e motivazioni profonde del pasticciaccio ("così incredibile eppure così reale" aveva detto la madre quarantatreenne patetica poetessa dilettante), di cui ero all'oscuro né più né meno di un qualunque contadino bulgaro; preso da nervi paterni ebbe un raptus e chiese nomi e cognomi dei presunti responsabili; capirete il mio boh. Il chirurgo, anche lui con borse sott'occhio, si rivolse a me.

—È stato un problema: i polsi erano segati, più che tagliati. Abbiamo dovuto ricucire i tendini prima ancora delle vene. Per fortuna le arterie...— e qui fu interrotto dal padre col quale si lanciò in una discussione necrofila di poco fascino. La madre si gettò al capezzale; ebbe un tremito isterico a vedergli il polso fasciato ("é stato come risvegliarsi da un sogno e scoprire che è tutto vero...") e per cinque minuti buoni gli frignò addosso senza accorgersi che era completamente anestetizzato. Lasciai Gianluigi e i suoi alla Divina Provvidenza e me ne tornai. Pur conscio del potenziale guajocombinatorio di Ferruccio, mai mi sarei aspettato: la spiaggia era deserta, con Stefano che controllava il corretto avvicendarsi delle onde. In camera trovai un biglietto: "Porto i ragazzi a fare un giro in paese. F." Sotto, cancellato: "per fargli superare questo trauma in modo non violento." Apprezzare il suo pudore non bastò a distogliermi dall'idea di traumatizzare a lui il cranio violentissimamente; presa la macchina ancora mezza insanguinata tornai in paese. La mia nemesi scherzava beatamente con due pargoli davanti a un gelato, a un tavolo del barrino. —E gli altri?— lo aggredii senza neppure salutarlo. Vistomi nero, fu più mite.

—A giro...—

—A giro dove?—

—Ma, per il paese...—

—E tu non sai dove sono?! Ma, dico, possibile che tu debba sempre rovinarmi l'esistenza!?! Falli tornare subitooo!!!—

—Già,— disse lui placido, ignaro delle mie sofferenze colpa di uno stupido moccioso drogato di cartoni giapponesi patetici —non è mica facile. Ci siamo dati appuntamento ma poi...— Dopo il mio lamento "E se uno finisce sotto una macchina?" e dopo che io gli ebbi raccontato tutto in toni drammatici ebbe il buon cuore di esprimersi costruttivamente. —Vabbe', comunque ho chiesto un po', sai, su questa storia di stanotte. Insomma, dicono che il polso se l'è tagliato di proposito, da solo... a proposito: come sta?—

—Bnbn. Effòri p'ricol.— borbottai —Vai avanti.—

—E pare che prima si sia calato dalla finestra e poi sia risalito. Si è messo a letto e nessuno si è accorto di nulla finché uno non è scivolato sulla macchia di sangue e si è ritrovato tutto macchiato—

—Oh mamma! Risparmiami questi partico—

—Su Agostino, sta' calmo. Calmati, eh? Cerca di ragionare. Vediamo un po': perché è suc—

—Non voglio saperlo! Non me ne frega niente! Voglio solo sapere COME!!— berciai galileianamente. —Dov'è Marco?—

—Chi, il tuo amico spione?— Non raccolsi.

—Hai chiesto a lui?—

—Figurati, quello accuserebbe la mamma pur di farsi bello con noi.—

—Dov'è?— ripetei, livido.

—Sarà a giro a seguire gli altri da lontano.—

—Lo voglio.— Capii perché l'ispettore Callaghan era così duro: troppe levatacce e troppi caffè.

Il meglio che potessi ottenere da Ferruccio era che tacesse; incaricai i due che erano sotto le mie grinfie (dall'alito vagamente tabaccoso; gliel'aveva data lui!) di andare a cercare "Marco Petilli". Tornarono senza dopo mezz'ora. Allora li istruii di dire a tutti quelli che incontravano di cercare anche loro, e di passare parola, e tutti in piazza alle undici e mezza. C'erano tutti meno chi volevo vedere e chi non volevo perdere di vista. Un omino dell'Azienda Trasporti Interurbani giunse e rivoltosi a Ferruccio gli comunicò che se cercavano due ragazzini così e cosà lui li aveva portati alla colonia con l'autobus delle dieci. Incaricai il mio "collaboratore" di portare le masse indietro in corriera, fidando fosse capace di compiere semplici operazioni, e ripresi la macchina onde raggiungere il Peccato e la Verità.

Peccato e Verità che trovai dormienti ciascuno sul suo lettino lontani tra loro ed entrambi da qualunque sospetto d'indecenza.

Quella sera doveva esserci la festa per un gruppo di ragazzi che finiva il suo turno l'indomani. Nella situazione assonnata e tesa non proposi di meglio del solito falò fino a tarda sera, e mi stupii dell'entusiasmo che accolse quest'ultimo conato rantolante della mia funzione di animatore. Alle nove, tra gli scotimenti di capo degli addetti-mensa, prelevai una quantità enorme di fagioli in iscatola e un filzone di salsicce dal congelatore e, impentolonati i primi ed inspiedate le seconde, andai a controllare che nessun dei pueri si fosse fatto pira. Grazie a Dio qualche appassionato di camping manteneva sotto controllo un focolare oscillante tra Mucchietto di Paglia Bruciacchiata ed Incendio Devastatore; surtutto mi sentii sollevato che i miei accuditi, una volta tanto, mostrassero una parte di sé più canonicamente, secondo i dettami classici, infantile. Pareva che piacesse loro davvero mangiare roba cotta male tenendo il piatto in mano, a gambe incrociate sulla sterperba. Il campanello suonò solo quando si stancarono di ciò e presero a far capannelli; ma, chiamati che li ebbi, ricordai che non avevo pensato a nessun gioco da falò.

—Via ragazzi,— li invitai —allora dite un po', che gioco volete fare?— Loro mi guardarono, un po' smarriti della mia sprovvedutezza, un po' colti impreparati da questo sudden shift di responsabilità, ma surtout chiedendosi, con la loro ignoranza tante volte apparente saggezza in quanto appunto ignorante molte idee sbagliate e/o pregiudizievoli, cosa ci fosse di tanto tabù nel chiacchierare a gruppetti da poterlo fare solo in mia assenza. Poi da uno, portavoce del gruppetto dei più spavaldi, propose il gioco della bottiglia; più bullata che intenzione, essendoci io tra' piedi ad impedirne l'osare. Le ragazze strillarono dinieghi, e tutti più o meno senfotterono. Un'occhiata in giro mi persuase all'Ultima Risorsa.

—OK ragazzi.— annunciai —Visto che mi ci costringete, vi dirò io un bel gioco.— Li vidi costernati, come traditi. Cominciai: —Dunque, io sono il principe del Siam...— Li guardai di nuovo: si erano appressati a me, ma con l'aria di compunzione di chi si assoggetta ai capricci di un vero sovrano nell'attesa che questi si annoi e li lasci liberi ai loro veri svaghi. Ma io, appunto portatore d'hautoritàp, non potevo confessare di essere io a volermi unire ai giochi loro. —...crudelissimo, brutale e,— aggiunsi per farli ridere —volgare rapitore di fanciulle e fanciulli innocenti che poi mando a lavorare come schiavi nelle mie piantagioni di riso.— L'occhio di qualcuno, dei più piccoli, si faceva più vispo.

—Voi, invece, siete gli ambasciatori di tutte le altre nazioni del mondo. Dovete presentarvi a me annunciando il vostro nome, la vostra nazione e i due doni che mi avete portato per ingraziarmi i miei favori. Se li accetterò, bene, sarete salvi e a mia volta vi regalerò...— Pensai a qualcosa che non costasse troppo e che potesse essere ambito anche dai più smaliziati. —...a vostra scelta, un cioccolatino o un bicchiere di vino [a questo si reagì con un brusìo d'interessamento]. Se fallirete sarete cacciati e dovrete riprovare. Tenete presente che c'è un criterio secondo il quale io accetto o meno i doni, quindi... fatevi furbi!— conclusi con un'occhiatina simpa. Il gioco iniziò; alcuni facevano gli scemi, altri provavano; ma l'unico che giocasse veramente, secondo la definizione di Gadamer, a parte uno dei due superstiti ufologi, ero io. Fu quando un tale Tommaso che si qualificò ambasciatore di Spagna mi fece dono, verbalmente s'intende, di un tubo e di un sasso, volendo con ciò celiare, e gli fu risposto che grazie andasse a ritirare il suo premio da un Ferruccio indifferente distribumescitore, e lui tornò al suo posto nel semicerchio intorno a me che davo le spalle al fuoco col suo bicchiere di plastica pieno per un quarto sorridendo fiero ed eccitato dell'ebbrezza profilanteglisi, che tutti cominciarono a prendere interesse. Fu il turno dell'occhiajuta.

—Non ho voglia.— disse d'un broncio.

—Aaaah!— feci il buffo —chi non mi porta doni se ne va dritto in prigione, cioè a letto.— Teresa non spinse il suo ribellismo al punto di accettare ciò in nome della propria asocialità.

—Va bene. Mi chiamo Teresa, sono ambasciatore di, boh, dell'America e porto, boh...—

—La cihala!— fece una voce resa audace dal buio che m'impedì di riconoscerla.

—No, quella l'ha già regalata!— disse un altro atro.

—No, l'ha venduta!— disse un terzo immerso. Avrei dovuto dir basta io.

Teresa si alzò, e il fuoco ne illuminò di sottinsù la furia.

—Se ti provi a ridirlo— ringhiò —ti riempio di schiaffi. E menghia `u fazzu quant'è veru `stu pacchiu!— minacciò, gelando per qualche secondo tutti; anche lei si bloccò nel suo gesto osceno rendendosi statua romana. Io ero così rapito che mi scordai d'intervenire.

—Tanto si sa quello che hai fatto stanotte.— ridisse il bujo.

—Anche ieri notte.— l'altro. Come una belva, trafitta dagli sguardi di tutto il semicerchio, Teresa si volse a cercare e si gettò furibonda su Marco, graffiandolo e picchiandolo. Lui per l'appunto sedeva poco lontano da me, e non potei esimermi dal riscuotermi e andare a separarli. Afferrai Teresa all'altezza del diaframma per tirarla via, e ne sentii le costole sottili e i muscoli frementi. Appena fu sollevata si placò, almeno fisicamente. Con voce bassa e rotta cominciò a gettargli contro, lenta:

—Spia. Bastardo. Fottuto. Porco. Vigliacco. Carogna. Spia. Figlio di puttana.— Poi si volse a me, ma ricacciò indietro quello che avrebbe voluto dirmi. Si sottrasse alla mia mano che ancora distrattamente l'arreggeva, e tornò a sedersi dove stava. Io guardai verso Marco, seduto, gli occhi e le punte delle orecchie rossi: la vista di me in piedi fissantelo dovette infondergli voce; rantolò

—Non è vero, io non ho detto niente.— Ed io, uno scemo:

—Perché? Cosa è successo?—

—No, niente.— disse lui; ma prima aveva guardato Teresa. Io scattai il mio occhio a lei, che stava minacciosa di pianto e lightning strokes, turbolento nuvolone nero.

—Niente, eh?— ed ero obbligato quanto nolente ad indagare.

Stallo.

La solita voce dal buio:

—Dài Marco, raccontacelo anche a noi!—

—Dài, sì, dài!— Marco mi guardò ancora, io dovevo voler sapere (e volevo doverlo).

—Ma sì,— feci, quasi arrendendomi —se sai qualcosa, diccelo, no?—

—...—

—Dài, su.— lo spronai.

—...— e guardava Teresa. La quale:

—Sì, dillo, dillo. Mimportunaminchia.— Marco, sgravato, s'alzò e si pulì il didietro dei jeans da sera dall'erbe secche.

—Allora,— schiarita la voce snocciolò, e impettitosi —ieri sera verso la mezzanotte ho visto Ofman Gianluigi aprire la finestra e calarsi giù. Allora io mi sono affacciato alla finestra e lo ho visto camminare avanti e indietro per circa dieci minuti. Poi ho sentito un rumore e ho visto Madonia Teresa che scendeva dalla finestra del signor Ferruccio.— Lo cercai con gli occhi, ma era scomparso. —Allora quando lo ha visto Madonia Teresa ha chiesto a Ofman Gianluigi che cosa stava facendo là. Allora Ofman Gianluigi ha detto che voleva andare con lei. Allora Madonia Teresa ha detto che era troppo piccolo per andare dove andava lei. Allora Ofman Gianluigi ha detto che se lei non era troppo piccola allora non lo era neppure lui. Allora Madonia Teresa ha detto che comunque i suoi amici non lo volevano, perché non volevano i mocciosi, e che tanto non aveva i soldi. Allora—

—BASTARDO STRONZO CAROGNA AVISSI A GHITTARI `U SANGU DU CORIII!!!— fu il grido di Furia di Teresa che fece per alzarsi ma rimase colla mano a mezz'aria.

Marco abbassò il capo e trasse un respirone.

—Allora Madonia Teresa ha detto che andava in discoteca con dei ragazzi del paese. Allora Ofman Gianluigi ha chiesto a Madonia Teresa se voleva mettersi con lui. Allora Madonia Teresa ha detto che non ci pensava neanche e che tanto stava già con uno di quei ragazzi e anzi con lui ci aveva già fatto...— Un po' il proprio scoramento, ma surtout l'improvviso explodere di tanti commenti in un cerchio fin'allora silente l'interruppe; anch'io alzai le sopracciglia sol ché mi pareva indegno del mio status l'alzarmi e zompare e gridare mammamia che roba; e ci scordammo di Marco che stava lì in piedi a guardarci come forsennati; il quale attese un nostro nuovamente tranquillizzarci per ripartire.

—Più tardi—

—Ora basta!— fu la voce di Ferruccio dall'atro alle mie spalle. —Scusa, un attimo, eh.— fermò Marco; poi, a me: —Agostino, mi sembra l'ora di piantarla con questa farsa. Forse— mi disse piano, accostatomisi —non ti rendi conto di quello che stai facendo. Lascia perdere i fatti di ambito morale, ma mi sembra che se uno vuol portare avanti un discorso educativo con questi ragazzi questo sia il modo peggiore di chiarire un certo tipo di discorsi... cioè, anche se uno vuol fare delle storie tipo disciplina o così, no,... questo, insomma,— concluse ancor più piano nòncuro del trogloditismo espressivo che esalava —questo tuo far preferenze tra di loro, cioè non semplicemente preferenze, ma anche differenze, questo tuo sputtanare una persona così in pubblico, fa proprio schifo, permettimi di dirlo, sia da un punto di vista educativo che... ecco, e poi mi fai un po' schifo anche tu che lo fai.—

—Sì, ma allora— gli risposi, calmo —quando faccio le cose con riservatezza perché mi dài di ipocrita?—

—Mi stai proprio sul cazzo— disse lui, colla faccia a durofatto (ragazzaccio di borgata) —quando fai questi sofismi di merda.—

—Sofismi? Ma,—

—E poi, questo tuo assumere come verità assoluta quello che dice quello lì...—

—Ma lo è!—

—E tu non chiedergliela!— Bisbigliavamo, solo le nostre facce urlavano.

—E io come faccio a saperla?!—

—E non saperla! Perché devi impicciarti sempre di tutto?!—

—Perché poi i genitori me la vengono a richiedere a me!— Ferruccio trasalì un attimo. —Anzi, proprio stamane, mentre tu ti grattavi i cosiddetti—

—Puoi dire anche coglioni, sai, con me puoi anche evitare di fare il bravo ragazzo di parrocchia.—

—I coglioni, allora, il babbo di Gian mi ha chiesto perché e percome, e io li devo sapere. Non pensare— dissi, menzogna finissima —che mi piaccia tutto questo. E anche loro devono saperlo, perché non c'è niente di più diseducativo che nascondere le cose che succedono!— conclusi, fiero del pistolotto. Ferruccio non appariva convinto, ed anzi parve alla ricerca di qualche risposta, ma tacque abbastanza ché io potessi intimare al Testimone di andare avanti: obiezione respinta.

—Allora, più tardi, dopo che Ofman Gianluigi era stato portato all'ospedale, io non riuscivo a dormire perché ero preoccupato di lui. Alle ore cinque e un quarto ho sentito dei rumori e ho sentito Madonia Teresa che entrava dalla finestra nella camera del signor Ferruccio. Io credevo che il signor Ferruccio era andato all'ospedale e sono andato in quella camera per dire a Madonia Teresa che cosa era successo per colpa sua. Però non sono entrato perché dalla camera accanto ho sentito il signor Ferruccio che ha detto che sapeva benissimo dov'era andata. Allora Madonia Teresa ha detto che non era possibile. Allora il signor Ferruccio ha detto che l'aveva seguita e la aveva vista che entrava alla discoteca Sendi e che era entrato anche lui e che la aveva vista bere la birra e pomiciare su una poltrona con un ragazzo del paese e che l'aveva vista uscire dalla discoteca con un uomo grasso e salire su una macchina e che poi era scesa con dei soldi in mano e l'aveva dati a quel ragazzo del paese. Allora Madonia Teresa ha detto che non era vero nulla. Allora il signor Ferruccio ha detto di guardare una cosa che io non ho visto. Allora Madonia Teresa ha detto che il suo ragazzo ce l'aveva più grossa. Allora il signor Ferruccio ha detto che se la menava lui non diceva niente a nessuno. Allora Madonia Teresa ha detto di no e mi sembra che si è messa a piangere ma io non vedevo, sentivo e basta, perciò non sono molto sicuro. Allora il signor Ferruccio ha detto che aveva visto che aveva fatto la stessa cosa con quel grassone in macchina e allora poteva farlo anche a lui. Allora Madonia Teresa ha detto che non era vero. Allora il signor Ferruccio ha detto che doveva farlo sennò lui raccontava tutto a tutti e per primo ai suoi genitori. Allora Madonia Teresa ha detto che se non la lasciava andare lei andava a dire a tutti quello che gli era successo con lui anche se si sputtanava. Allora il signor Ferruccio ha detto che tutti credevano a lui invece che a lei. Allora Madonia Teresa ha detto al signor Ferruccio che faceva schifo. Allora il signor Ferruccio ha detto che se voleva gli dava anche dei soldi. Allora Madonia Teresa ha chiesto al signor Ferruccio se era scemo. Allora il signor Ferruccio ha detto di tenere cinquantamila lire. Allora Madonia Teresa ha detto che con cinquantamila lire ci si puliva il culo. Allora il signor Ferruccio ha detto che in America le mocciose come lei facevano i piombini per diecimila lire. Allora Madonia Teresa ha chiesto che cazzo voleva da lei e ha detto di andare a fottersi sua madre se ci aveva tanto gusto. Allora il signor Ferruccio ha detto di tenere altre cinquantamila lire ma si doveva sbrigare perché il signor Agostino, cioè Lei, poteva tornare da un momento all'altro dall'ospedale. Allora Madonia Teresa si è messa a ridere e ha detto al signor Ferruccio che era impotente e che si era già ammosciata. Allora credo che il signor Ferruccio ha dato uno schiaffo a Madonia Teresa perché ho sentito ciac. Allora Madonia Teresa si è messa a piangere. Allora il signor Ferruccio ha detto di non piangere. Allora Madonia Teresa ha detto al signor Ferruccio che era uno stronzo e ha continuato a piangere. Allora il signor Ferruccio ha detto a Madonia Teresa di andare a fanculo e che oramai era troppo tardi e qualcuno poteva essersi già svegliato e che non finiva lì e che la voleva rivedere la sera. Allora ho pensato che uscivano e allora sono tornato a letto.—

Guardai Ferruccio, che nonostante la luce rossastra delle braci non andava al di là dell'ocra.

No, non spedimmo Teresa a casa né Ferruccio alla galera che loro competevano. Lavammo i panni sporchi in famiglia, e toccò a me, il fesso innocente, "parlare" con Teresa, farle capire cos'era che "non andava"; avrei preferito picchiarla, le avrebbe anche fatto meno male.

Non sapevo come esordire, come assestare la prima sferzata allo pneuma dei trentasei chili di materia organica seduti a ginocchia divaricate sul mio letto con il viso abbassato ad osservare come la suola di una scarpa da tennis strusciasse con la tela dell'altra e le palme appoggiate sulla sponda, tra i due arti inferiori; non mi riusciva di escogitare toni efficaci ma non odiosi. Per un po', poi il mio intelletto pratico mi cassò un paio di obiezioni. E

—Vedi— potei cominciare —ehh... tu capirai bene che, um..., quello che hai fatto, cioè essenzialmente... intendo, l'uscire di notte di nascosto... è una cosa che non andava fatta. Poi, il fatto che sia venuto fuori tutto... il resto...eh, ecco, è secondario e fortuito...— Lei ascoltava, ermeticamente chiusa e sorda nel cuore alla voce dell'Autorità quanto ad essa ossequiente in corpore, come possiamo immaginare il socialmente umile throughout the ages. —Ma a parte le questioni di disciplina, che è una cosa stupida ma... diciamo così... necessaria, forse questo tuo, ecco, modo di comportarti, cioè questo tuo fare la spregiudicata, non so, la ribelle, in un certo senso, fa del male più a te che ad altri... a parte il fatto che un tuo comportarti così, ecco, favorisce poi atteggiamenti come quello di quell'altro disgraziato, no... perché vedi,— mi strappai a forza dalle tenaglie del non dicendum —se tu vuoi in un certo modo sembrare più grande di quello che sei, di quello che sei non solo come età, ma anche dentro, no capito, di quello che sei veramente... eh... e se su questo tu basi, diciamo, il tuo rapporto con gli altri, questi vedranno sempre solo questa parte di te, cioè semplicemente... cioè, ti considereranno solo una che... be', che ci sta, capito, solo in funzione di una tua più o meno disponibilità, capisci, chiaramente ai vari livelli, per cui chi ti considera una che bacia tutti, chi una... eh, no, se tu, capito, facessi vedere anche un po' delle cose che hai veramente dentro, le cose per cui vali veramente, che senti davvero tue...— qui persi ogni pudore e/o ritenzione argomentativi —ricaveresti più soddisfazione tu dai tuoi rapporti con gli altri, capisci, perché, in un certo senso, se ti fai accettare per quello che sei veramente, per le cose che tu dài con vero piacere, le cose che senti dentro... ecco, poi non rischi dei malintesi tipo quello con... ecco... Ferruccio...—

—Insomma è colpa mia se quello lì mi voleva saltare addos—

Non riuscì a dire l'ultima sillaba per un singulto. Una larma grossa le cadde in grembo; tremò. Io mi spaventai molto, e nesciendo cheffà mi alzai dalla sedia per porre fine alle sofferenze causate dal buonsenso con una sterniana manifestazione di puro affetto. Sedetti accanto a lei e le strinsi le spalle con un braccio, poi con la mano la clavicola in un abbraccio composto. Quando si sentì protetta Teresa sciolse i singhiozzi e pianse di un òw prolungato. Tentai di confortarla un po': con l'altra mano le accarezzai la guancia, le baciai la tempia, la strinsi un poco più forte. Il suo pianto era di donna.

La sua mano, nel pathos, andò a finire sulla lampo dei miei pantaloni. Io, per non confermare l'opinione comune su di lei, non volli dare a pensare che considerassi ciò un'avance, perciò continuai ad accarezzarle i capelli da bravo pseudopapà; ma non sempre si mostra di sé quel che si vorrebbe: la posa si fece pressione, poi, visto che se non altro in certe parti la vince la corporeità, ad un rigonfiarsi del mio procreativo iniziò il rude sfregare delle nocche di Teresa. Non potevo più fingere di non capire: mi rialzai di scatto e mi misi di nuovo a sedere sulla seggiola, a un buon metro da lei.

Cercavo di apparire grave e deluso, ma ero arrossito, e mi batteva forte il cuore. Accesi una sigaretta. Lei, che teneva il viso nelle mani, all'odore alzò il capo e mi guardò, col rossore segnato di dieci dita; puntava alternativamente me e il pacchetto che avevo in mano. Capii e le offrii un calumet. Lei accese la sua con la mia, mandando la brace a raggiungere tutta la base del cilindretto con una sapiente rotazione: mise la sigaretta in mezzo alla bocca, aspirando a labbra arricciate, e io vidi lo sporco sotto le unghie laccate di fucsia. Fumammo un po' in silenzio, io osservando il suo viso, le sue mani, le sue gambe scoperte, lei a sessanta centimetri dalle mie scarpe. Poi mi scappò un sorriso bonario.

—Questo intendevo dire.— e mi sforzai di fare la faccia più SIMPATICA possibile; riuscii a strapparle un sorriso; amaro, doloroso, ma sorriso. Nel film i due si prendano la mano.

Lei cominciò a guardarmi negli occhi coi suoi, di un verde ora luminoso. Più rilassata si alzò e fece un passo avanti parandomisi dinanzi. Allungò le mani a stringermi la nuca, sempre splendente, sempre sorridente.

—Lo sai,— disse dolce come non era mai stata —non avevo mai incontrato una persona come te, che cercasse di capirmi per quello che sono dentro; e sai, mi hai insegnato una cosa molto importante, oggi, su me stessa...— Gioii; era tutta l'immagine della commozione, della redenzione al positivo, alla Vita, ma sì, diciamolo, a Dio. —...Grazie.— concluse in punta d'incisivi; poi volle abbracciarmi, e mi salì in collo. Io la ricambiai forte, pensando a quanti pochi affetti l'aveva usa la famiglia di immigrati alienati, per ripagarla di ciò, perché non si sentisse più sola. Lei mi teneva di una forza infantile; un abbraccio puro, schietto, totale: in me, pensavo, riabbracciava il mondo. Ad un tratto voltò il capo, lo allontanò dalla mia spalla e poggiò le sue labbra sulle mie. Il ribellarmi mi sarebbe parso rude puritanesimo e accettai per non rovinare questa conquista; continuò a sbaciucchiarmi la bocca, ed io, credo per abitudine, trasformai l'abbraccio in carezze sulla schiena e sul collo. Mi sa che fui io a schiudere le labbra per primo. La mia mano sinistra risalì per la liscia coscia liscia; ma in quella posizione non potei toccarle l'inguine che col pollice: stava per scivolare sotto l'elastico che si sentirono passi nel corridoio.

Teresa scese, si ricompose. L'abbracciai fraternamente e la congedai. Lei si unì alla moscacieca nel cortile, ed io la guardai dalla finestra con un vago sorriso sacerdotale sulle labbra ancora salivose. A tarda sera, appena finito di leggiucchiare D'Annunzio e spenta la luce, l'immagine di lei mi piombò addosso. Immaginai l'eventuale continuo degli avvenimenti del pomeriggio. Non si fece attendere reazione genitale. Con cura presi un fazzolettino di carta da accanto l'abajùr e me l'avvolsi. Degradando la contemplazione di Our Lady of Pain a fantasia onanica brevi tempore potei depositare il risibile appiccicaticcio. Attesi lo sbollire degli spiriti, poi mi misi la vestaglia e andai a gettare il tutto nella pattumiera, giù in cucina.